L’arte contro il femminicidio: mercoledì la première online di “Frammenti – Ni una más”, recital tratto da “Ferite a morte” di Serena Dandini

L’arte contro il femminicidio: s’intitola “Frammenti – Ni una más” il recital firmato Teatro del Segno e Teatro Impossibile, tratto da “Ferite a morte” di Serena Dandini (Rizzoli editore), che debutterà in streaming in occasione della Giornata Internazionale per l’eliminazione della Violenza sulle Donne. Sotto i riflettori Rossella Faa, Marta Proietti Orzella, Monica Zuncheddu, Anna Brotzu, Emanuela Lai e Anna Paola Marturano – al TsE di Is Mirrionis a Cagliari (rigorosamente “a porte chiuse” e nel rispetto delle norme anti-Covid) – danno voce alle protagoniste dell’amara cronaca di una “morte annunciata”, creature diversissime per carattere, età e censo, provenienza geografica, ma accomunate dallo stesso triste destino.

“Frammenti – Ni una más” con la regia di Stefano Ledda – inserito nel calendario condiviso di “Feminas. Cagliari contro la violenza” 2020 – sarà presentato in première mercoledì 25 novembre alle 21 sul canale YouTube del Teatro del Segno (dove resterà visibile per sette giorni) in una versione pensata e realizzata per il web – per gentile concessione delle autrici Serena Dandini e Maura Misiti, con un ringraziamento a Mismaonda.

“Frammenti – Ni una más” è un viaggio tra le emozioni e i ricordi, istanti di felicità e abissi di disperazione, la tenerezza per un bambino mai nato – «sono morta prima» – e la snobistica ostentazione di (presunta) superiorità di colei che sostiene di non avere «niente a che vedere con questo esercito di poveracce», perché «c’è morta e morta» e conterà pure qualcosa esser stata eliminata da ben due killer professionisti in doppiopetto blu, assoldati dal marito, «un manager, mica un poveraccio da Cavalleria rusticana».

Serena Dandini inventa per le vittime di femminicidio un paesaggio un surreale, una sorta (forse) di limbo dove tutte riacquistano intatta la loro bellezza, non più sfregiata dalle mani dei loro carnefici: qui le donne si confidano, rievocano dettagli preziosi delle loro esistenze, il rimpianto per l’amore dolcissimo e quasi adolescenziale, con un futuro denso di promesse, sacrificato all’“onore” della famiglia ma anche la persecuzione da parte di un corteggiatore troppo assillante, maniaco del controllo e incapace di rinunciare a una donna a cui continua a ripetere, instancabilmente: «sei solo mia», alternando lusinghe e minacce fino all’ultimo, fatale appuntamento d’addio.

La vicenda della moglie uccisa in «un raptus improvviso di follia», in realtà con cupa premeditazione da un uomo che non aveva mai fatto mistero delle sue intenzioni, anzi «erano anni che lo diceva ai quattro venti», tanto che quando alla fine ha compiuto quel gesto irreparabile nessuno ne è stato sorpreso né ha avuto dubbi sul colpevole, salvo chiedersi come mai nessuno avesse cercato di fermarlo, in un racconto pone il problema dell’indifferenza o forse dell’incapacità di cogliere gli indizi e riconoscere la sofferenza altrui, quella tendenza a guardare da un’altra parte, per scarsa sensibilità, distrazione o mancanza di empatia. Tra le righe risuona la voce di Susana Chávez – poetessa e attivista messicana, creatrice dello slogan “Ni una muerta más” che ha lottato contro violenze e assassini, denunciando la carneficina in atto contro le donne nel suo Paese e in particolare a Ciudad Juarez, la sua città, prima di essere brutalmente uccisa e mutilata nel 2011.

«L’arte è lo strumento che permette di dar corpo ai sogni e agli incubi e di “mettere in scena” l’indicibile: per parlare di un tema come il femminicidio, una tragedia contemporanea, una strage insensata e feroce di cui non si vede la fine abbiamo preso in prestito le parole di Serena Dandini» – spiega Stefano Ledda. «“Ferite a morte” è un libro particolare, avvincente e pure sconvolgente, da cui affiorano tanti ritratti di donne, diversissime, accomunate da un unico “destino” – una fine violenta per mano di un uomo (ma è anche uno spettacolo – che vi invito a vedere se ne avrete l’occasione – rappresentato in Italia e nel mondo): abbiamo scelto sei monologhi, sei storie emblematiche in cui le protagoniste ricostruiscono il crescendo di violenza e abusi fisici e psicologici da loro subiti e culminati in un delitto».

«“Frammenti” – come i pezzi di quelle vite infrante – in cui le vittime si interrogano (e ci interrogano) su un fenomeno inquietante e diffuso come la violenza di genere: un recital dove le testimonianze si susseguono, inframezzate dalla musica, a ricordarci di come spesso non ci si accorga di avere “un mostro in casa” – o nel quartiere, tra i vicini e i colleghi di lavoro, perfino parenti e amici – fino a quando non è troppo tardi. È fondamentale e urgente un cambiamento culturale, affinché questi episodi terribili non accadano più – e non soffra, né sia umiliata e torturata, e neppure muoia “Ni una màs”».

«Una scenografia essenziale, con sei leggii disposti a scacchiera, per una lettura senza enfasi o sottolineature, perché il pathos è racchiuso nelle immagini evocate dalle parole, con la dolorosa consapevolezza che si tratta di storie con un finale già scritto: l’autrice ha sapientemente mescolato realtà e finzione, alternando diversi registri, l’ironia e il dramma, la rabbia e perfino lo stupore, l’ingenuità e la lucida coscienza di sé, quasi a voler sottolineare come la violenza di genere e il femminicidio siano trasversali, presenti a tutte le latitudini e in tutte le classi sociali. E a ricordarci che anche se non siamo direttamente coinvolti – come carnefici o vittime – ci riguardano molto da vicino – in quanto esseri umani».

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