Gianni Dettori. Il trasformista dall’ironia sottile

Far rivivere le canzoni del passato attraverso un’interpretazione dall’ironia sottile fatta di playback, abiti di scena e parrucche, uniti ad una mimica facciale e corporea di grande intensità.

Questo è Gianni Dettori, il trasformista cagliaritano dalle performance caratteristiche che ha portato la sua passione prima, e lavoro poi, in giro per l’Italia e sul piccolo schermo, raccontando un’evoluzione artistica che è la somma di molteplici capacità e dell’osservazione degli artisti di una volta.

Anni di carriera?
Nasce tutto nel Carnevale del 1982, con uno spettacolo in un locale a Dolianova in compagnia di un ragazzo, con il quale ho poi continuato. Fin da bambino ero attratto dai clown e dall’esibizione però ero molto timido; lo sono ancora sotto certi aspetti, infatti penso che questo lavoro mi abbia aiutato a relazionarmi. A noi si aggiunsero due persone e andammo avanti per qualche anno, finché due di loro non si spostarono altrove e io rimasi con Carlotta.
L’inizio dell’attività lavorativa vera e propria risale al 1987. Ci siamo ritrovati a Milano, a fare un provino in un locale in cui si facevano spettacoli “en travestì”, termine che indica gli uomini che si travestono da donna. Lei era un caso eccezionale, in quanto donna che si travestiva. Fu un trionfo che stravolse l’idea di quel tipo di spettacolo.
Sono quindi trentun anni di carriera.

Carriera che ebbe una svolta nel 1990, con la vittoria del programma Gran Premio condotto da Pippo Baudo.
Andammo a fare un provino con degli amici, due minuti di esibizione e il classico “Vi faremo sapere”. Partimmo per uno spettacolo in Toscana e al ritorno ci chiamarono a Roma per la conferma del provino.

Ci siamo ritrovati a fare questa scelta all’improvviso, entrando nella squadra della Sardegna in veste di comici. La nostra performance era particolare, come diceva Baudo: “Siete quelli che entrano, fanno ridere e se ne vanno”.

 

 

Dopo un’esperienza del genere cambiano tante cose.
In quel periodo io e Carlotta siamo andati in crisi e decisi di abbandonare il duo; non sentivo più l’amore che mettevo nella mia attività e il guadagno facile tipico della TV per la quale quando piaci entri in un meccanismo ben preciso non faceva per me.

La visibilità e ciò che ne derivò non erano adatti a te?
Lavorare per una telecamera e non per gli occhi di qualcuno mi bloccava. Lo stesso è accaduto in parte con la partecipazione al programma dei Lapola, collaborazione iniziata nel 2009 con delle ospitate, un anno prima del mio ritorno a Cagliari. Riconquistare il pubblico televisivo e proporre nuovi personaggi ogni settimana non è stato facile, ma sono limiti che ho superato. In casa ho più costumi di scena che cose mie.

Come nasce uno spettacolo?
La canzone mi deve divertire; cerco di imparare il playback al meglio, poi pesco un abito e lo riadatto al personaggio.
Non faccio mai prove davanti allo specchio, la prova avviene quando porto il personaggio in scena e ogni volta è diverso. Con gli anni ho imparato il mestiere: guardo chi c’è in sala e individuo quello con cui posso interagire e quello che si ritrae, che è fonte maggiore di gioco per me. Questo non riesco a farlo senza trucco, non sono lo stesso Gianni Dettori che salta e scherza in TV o agli spettacoli.

Ti ispiri a qualcuno?
Sin da ragazzino mi sono sempre guardato intorno, rimanendo affascinato da qualcosa, come ad esempio il cambio veloce di Brachetti. Nascono così i venti secondi di cambio tra un personaggio e l’altro.

Non sono tanti!
Dipende dal ritmo che dai. Un’altra mia caratteristica consiste nell’interpretare sia personaggi maschili che femminili e come mi diceva qualcuno “gli abiti più belli li metti per i personaggi di minore spessore”: il pubblico sarà catturato dall’estetica e non dal resto.

Un personaggio al quale sei legato?
Un pezzo di Gaber, “L’odore”, che insieme a “Fortunello” di Petrolini è stato il motivo per cui negli anni ‘80 decisi di usare la maschera bianca. Non mi piaceva l’idea che un personaggio maschile avesse il viso di una donna. Così la maschera è diventata neutrale.

 

 

Qual è il tuo pubblico?
Sicuramente gli adulti. Dal vecchietto di ottant’anni che con “Ba Ba Baciami piccina” mi bacia sulle labbra alla signora che mi confida: “Mio figlio mi dice di andare a letto ma io gli dico che finché non esce quello truccato di bianco e vestito da donna io non ci vado!”. Mi piace quando riesco a conquistare i bambini: non capiscono l’ironia del pezzo ma rimangono affascinati dal cambio, dalla parrucca… Su una nave, un’estate, nacque “Mi scappa la pipì” perché il mio spettacolo veniva dopo la baby dance e questo mi mandava in panico. Loro rimanevano incantati.

Com’è guadagnarsi da vivere come artista indipendente oggi rispetto agli esordi?
Milano fu fonte di guadagno; pensa che l’affitto era di 200 mila lire e si guadagnavano 80 mila lire al giorno. A quei tempi un biglietto aereo costava 500 mila lire e potevo acquistarlo, non era da tutti. Cagliari è un po’ più difficile perché in inverno si lavora meno. Ci sono periodi in cui arranchi ma son passati tanti anni e mi ritengo fortunato.

Hai deciso di rimanere.
C’è stato un momento in cui sarei voluto andare via ma un po’ per lavoro e un po’ per motivi familiari sono rimasto. A Cagliari mi manca il riconoscimento della stampa locale; sento che non c’è un’attenzione nei confronti dei miei trent’anni di carriera. A tal proposito, nei miei progetti c’è uno spettacolo teatrale basato sulla mia storia al quale sto lavorando con Giovanni Coda, un regista sardo.

Hai anticipato la domanda sui progetti futuri.
È questo: portare il racconto di vita di Gianni in uno spazio diverso, che è quello teatrale.

Che ti appartiene.
Penso di essere teatrale. Ho un viso che con gli anni mi piace di più, lo trovo più maschera. Una decina di anni fa mi chiedevo quanto ancora sarei riuscito a portare avanti i miei spettacoli, con la mia fisicità che cambiava e alcuni costumi che non entravano più.

Cosa rende attuale una comicità ricercata come la tua?
Credo le canzoni e il racconto che c’è dietro, l’ironia di una volta. Porto personaggi visti a Milano da vecchi trasformisti che non ci sono più, adattandoli e facendoli miei.

Chi è Gianni Dettori?
È uno che ama il suo lavoro, che è uscito fuori dai canoni. Non è il mimo classico, non è la drag queen, non è il comico perché non sono un monologhista, non è il cantante perché faccio il playback. Qualcuno dice “Sei Gianni Dettori”, e questo per me è fantastico.

 

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