Paolo Angeli, “Rade” e il mare come ponte

L’ultimo album del musicista di Sassari è una potente Odissea fra world music, avant-rock e richiami ancestrali

Rade di Paolo Angeli. 📷 Nanni Angeli

«Rade […] è un punto di vista sul Mediterraneo, sull’essere un popolo di mare e di terre emerse». Parola di Paolo Angeli che nell’anticipare l’uscita del suo nuovo album insiste sul concetto di mare come ponte e non come muro, collante fra le sponde di terre e culture diverse, ma solo apparentemente distanti – dalla Sardegna alla penisola iberica, dove il musicista di Sassari vive attualmente. Il disco è una lunga suite di dieci brani. Pubblicato il 23 maggio 2022 per la ReR Megacorp arriva a un anno di distanza dal precedente “Jar’a”, candidato ai Grammy Awards 2021.

È praticamente impossibile dare una definizione univoca di “Rade”: lo spazio espressivo all’interno del quale si muove è mutevole e variopinto. Certamente sono presenti le cifre stilistiche dell’avant-rock e della world music, ma una classificazione su queste basi risulta comunque poco esaustiva e forse anche un po’ frettolosa per un lavoro così complesso. Insomma, certamente è un esempio di avant-rock non convenzionale, con le innumerevoli improvvisazioni della chitarra di Angeli (che del disco è anche produttore e unico esecutore) a disegnare eleganti melodie senza mai cadere nello sterile autocompiacimento. Un fluire sonoro adagiato su tappeti di elettronica, preso dalla febbre del flamenco, che si specchia negli innumerevoli usi che Angeli fa della propria voce: ora è un ancestrale canto romantico, ora viene usata come percussione gutturale. Per averne immediata testimonianza si ascolti l’attacco di “Ottava”, opening track del disco. 

“Rade” è un disco con mille teste permeato da lunghi momenti di pathos e da un ampio uso di crescendo emotivi. Si cammina, anzi si nuota dentro fondali sonori ipnotici sorretti da ritmiche esili per attraccare a baie di sintetizzatori psichedelici, mentre intorno risuonano sirene e odissee taglienti e poderose — e in questo senso “Mare Lungo” rappresenta un momento di grande profondità compositiva. Il poker finale viene calato proprio dopo la calma apparente di “Secche” e arriva come la coda della tempesta a risvegliare intimità emotive assopite. Ed ecco la danza irrefrenabile di “Tejalone”, le frustate quasi post-rock della title track, la tensione di “Niebla” che fanno da preludio agli echi arabeggianti di “Andira” e al suo canto errante a stagliarsi sopra un’escalation da ascoltare con le lacrime agli occhi.

Paolo Angeli prende l’ascoltatore e lo precipita in un mosaico subacqueo per poi fargli ritrovare la bonaccia e lasciarlo a riva a guardare il mare con uno sguardo completamente diverso da quando il viaggio è iniziato. Che sia stata una navigazione verso luoghi che conosciamo o verso mete ignote poco importa, perché come dice lo stesso autore: «Il momento in cui sono a casa è quando ho il mare di fronte agli occhi». 

Exit mobile version