Il disco della speranza di Maria Giovanna Cherchi: “Sirena”

La cantautrice di Bolotana racconta il suo ultimo album fra speranza, male di Sardegna e una terra ammaliante anche per chi la sfiora

? Pino Polesi

“Sirena” è il nuovo Lp di Maria Giovanna Cherchi, bolotanese classe 1978 e nome di punta della (cosiddetta) musica popolare sarda. Una carriera iniziata da giovanissima che la vede nel 1995 firmare un contratto discografico per R&G Music grazie al suo inedito “Roccas”. La cantautrice vanta un ampio ventaglio di collaborazioni: fra gli innumerevoli nomi citiamo Piero Marras (che per lei scrive nel 2000 “Unu Frore che a Tie”) ed Elio (con cui canta il brano “Roberta” nel 2005).

Pubblicato il 1° maggio per R&G Music, “Sirena” è un assortimento di undici tracce fortemente caratterizzate da una formula che per semplificare chiameremo etno-pop o pop-folk. L’album ha avuto una gestazione di tre anni. «Un tempo lungo se paragonato alla maggior parte delle produzioni moderne –racconta la stessa autrice – ma è stato quello giusto. Io e i miei collaboratori ce la siamo presa con calma, non abbiamo mai smesso di confrontarci anche se a distanza durante il periodo della pandemia».

Maria Giovanna Cherchi sottolinea la distanza con l’album precedente “Anima”, pubblicato nel 2016: «In quel disco c’era molta sperimentazione, con “Sirena” sono tornata alle radici. L’idea era quella di non scontentare i ‘puristi’, ma di stare comunque al passo con i tempi». Con l’autrice parliamo anche di come “Sirena” sia stato concepito e realizzato durante il periodo più duro dell’emergenza pandemica. «Non è il canto di una ‘rediviva’ che ha ritrovato la speranza dopo il lockdown, perché io la speranza non l’ho mai persa. È nato con in seno la fine della pandemia, con l’idea che la musica e le canzoni potessero essere la medicina. Sapevo che ne saremmo usciti».

Nelle parole di Cherchi non mancano ovviamente riferimenti alla dimensione live in tutte le sue sfaccettature, dall’emozione del palco al rapporto de visu con le persone. «Nonostante tutto, ho cercato di continuare a coltivare i rapporti con gli altri. E le persone mi hanno ritrovato nella musica. Ricordo la prima serata che abbiamo fatto per presentare il disco, eravamo a Mogoro. È stata un’esperienza fortissima, stavo quasi tremando. E dire che sono abituata a stare sul palco (ride, ndr)».

Durante la chiacchierata c’è anche spazio per l’aneddotica sulla collaborazione con Fausto Leali e il Black Soul Gospel Choir nel “Deus ti salvet Maria” dell’album: «La mia agenzia è già da diversi anni la stessa di Fausto Leali e abbiamo deciso di coinvolgerlo nell’album. Pensa che è stato proprio lui a dire ‘Io ci sono, ma voglio fare il Deus ti salvet Maria!’. L’arrangiamento che gli abbiamo proposto era pensato per la sua voce soul, una delle più belle del panorama musicale italiano. Insomma, abbiamo pensato che il gospel potesse essere la ciliegina sulla torta. Già in passato avevo collaborato con il Black Soul Gospel Choir, e l’unione di queste due anime ha restituito al brano una nuova potenza mantenendone intatta la solennità originaria».

«La Sardegna è ammaliante come una Sirena. – dice Maria Giovanna Cherchi parlando dell’idea che è sottesa al titolo del Lp – Se ci sei nato non la dimentichi più, anche se vai a vivere fuori per cinquant’anni. Se ci capiti anche per pochissimo ne rimani innamorato. Ho la fortuna di visitare diversi circoli di sardi all’estero grazie al programma che conduco su Rai 3 (Disterrados”, ndr): c’è un ‘mal di Sardegna’ che non è solo di chi qui c’è nato».

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