Elena Ledda, luce mediterranea

Elena Ledda. 📷 Pierluigi Dessì confinivisivi

Quando le sonorità sarde incontrano l’amore per la propria terra e un’apertura mentale piacevolissima rivolta a progetti di sviluppo, promozione dei talenti e salvaguardia della cultura, è facile che si stia parlando con Elena Ledda. Noi abbiamo avuto il privilegio di farlo e, nelle righe che seguono, ripercorriamo questo incontro con l’artista che, a più voci, è stata definita come l’erede della grande Maria Carta.

Quando si è avvicinata al mondo della musica?
È stato da bambina. Ricordo la prima volta che mi sono esibita in pubblico: avevo nove anni. Poi, dai 12 ai 16 giravo nelle piazze per fare i primi spettacoli. Professionalmente, però, ho cominciato a 16 anni, quando ho messo su il duo con mio fratello e ho iniziato gli studi al conservatorio.

La sua famiglia come ha accolto questa passione musicale?
Molto bene anche perché, nella mia famiglia, la musica era un qualcosa di quotidiano. Mia mamma ha sempre raccontato che il mio bisnonno suonava la chitarra. Mio zio materno suonava l’organo e il pianoforte e la sorella di mio padre, che si chiamava come me (infatti dico sempre che la vera e autentica Elena Ledda è lei), ha sempre cantato. Forse io stessa ho iniziato anche per un’emulazione nei suoi confronti. L’adoravo, era la mia zia prediletta, la mia madrina, aveva il mio nome e quindi era anche facile immedesimarsi e, in qualche modo cercare di imitarla. Era molto brava e io mi chiedevo come avrei potuto fare per essere alla sua altezza. Anche mio fratello suona la chitarra, con lui ho inciso i miei primi dischi e fatto i miei primi spettacoli; abbiamo suonato insieme per una ventina d’anni. Mia sorella, invece, ha studiato canto e insegna canto lirico. Insomma, in qualche modo i miei genitori l’hanno presa come una cosa normale.

Quali differenze nota tra i suoi esordi e oggi?
Oggi provo malinconia per i giovani che, purtroppo, non vivono quel fermento culturale che ha sperimentato la mia generazione. Trovo che per un giovane interessato all’attività musicale oggi sia molto più complicata, a meno di realizzare prodotti prettamente commerciali. Perfino fare la gavetta è difficile: i locali chiedono di portare pubblico ma quello è un compito del locale stesso o al massimo di un promoter, non di chi suona o canta. Ecco che allora, chi non ha altri mezzi, si rivolge ai talent dai quali, però, emerge solo una piccolissima parte di meritevoli.

Cosa suggerisce per superare questo stallo?
Intanto l’aiuto delle famiglie, che è la base. Poi è fondamentale l’educazione allo studio. Bisogna cambiare il pensiero di questi ultimi vent’anni che vede lo studio come qualcosa di non più necessario. La più grande aspirazione, spesso, è fare la ragazza o il ragazzo immagine. Di per sé non c’è niente di sbagliato ma se l’aspirazione di una persona è fare quel lavoro per non studiare, allora già questo è uno sbaglio. Studiando, magari laureandosi o comunque preparandosi, si acquisisce la conoscenza per fare bene quello che si vuole. I nostri nonni lo sapevano e anche i nostri genitori, tant’è che i figli hanno sempre migliorato la condizione sociale rispetto a chi veniva prima. Oggi non solo non ci si laurea ma spesso non si finisce neanche la scuola dell’obbligo. Quando si studia si hanno gli strumenti per difendersi e farsi rispettare, oltre che per fare al meglio anche il lavoro più umile.

Nelle sue canzoni affronta spesso temi sociali importanti…
Affronto i temi che mi colpiscono in quel momento. Amargura è uscito una quindicina di anni fa: da allora questi argomenti non sono cambiati molto: la guerra, l’incomunicabilità tra le persone (che poi è la causa delle guerre), i femminicidi e così via. Quando le persone non si capiscono succedono sempre tragedie. Certamente, tra Amargura e Lantias, l’ultimo disco uscito nel 2018, questa esigenza è diventata ancora più forte perché i femminicidi sono aumentati in maniera esponenziale, gli attentati e le guerre sono diventati incontrollabili e si presentano sotto diverse forme. È una guerra anche quella che viviamo nel Mediterraneo, lo dico in quasi tutti i nostri spettacoli. Il Mediterraneo è stato la culla della nostra cultura e in questo momento ne è la bara, non solo perché nelle sue acque ci finiscono i nostri fratelli ma perché la nostra stessa cultura sta morendo. C’è qualcosa che non sta funzionando. Ecco, questa esigenza ha portato a scrivere un disco come Lantias dove simili argomenti sono molto più forti.

Quali progetti la attendono in futuro?
Non ho mai progetti per il futuro perché sto sempre sul presente. Quando hai tanti impegni nel presente per il futuro rimane poco tempo (ride, ndr). In realtà ho un’attività sempre frenetica perché sono molto curiosa per natura e quindi mi occupo di diverse cose. Oltre ai concerti per Lantias c’è Cantendi a Deus, il progetto di canti sardi che, tra l’altro, ha appena vinto un prestigioso premio assegnato dalla Radio polacca come secondo disco più bello degli ultimi 25 anni. Poi Bella Ciao, altro progetto nel quale figuro come unica rappresentante sarda, i tour all’estero, l’attività dell’Associazione Elena Ledda Vox e i prossimi concerti a Cagliari, Sant’Antioco, Iglesias e ancora Portoscuso, Livorno e via, ovunque ci si muova!

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