Berchidda, dal nome latino “Virgilla”, o dal diminutivo “Quercus” (“Querquilla”) che significherebbe “piccola quercia”. Si adagia sulle pendici meridionali della catena del Limbara, protetto dalle sue granitiche alture collinari. Ha la forma di una mezzaluna, Berchidda. Distese di verde incontaminato, dove la luce del sole sembra – al tramonto – cullarsi con dolcezza tra le dure e rupestri rocce dal carattere saldo e fiero. Brezza marina, si confonde con quella montana. I rumori, i fruscii della incontaminata natura, sono una partitura ricca e festosa, A volte, silenziosa, con la grande luna che splende su questo paesaggio, colmo di bruni colori, di echi lontani, e di nuove stelle. E una di queste, si chiama PAOLO FRESU. È una stella italiana, ma ormai adottata dall’Europa, dal Mondo.
Paolo e la sua vocazione per la tromba. Un binomio che fiorisce presto, prestissimo nella vita del musicista sardo. Complice la banda del suo paese natale, che acquisisce il nome da un famoso tenore (di Tempio Pausania) dei primi del Novecento, “Bernardo De Muro”. Ha soli undici anni e l’amore è tutto racchiuso in quello strumento di ottone. Con Berchidda, il legame è forte. E tutt’ora continua con la stessa passione del primo giorno. Ed è proprio nella sua terra natale che nasce una “visione” – la parola “progetto” potrebbe sembrare alquanto riduttiva – musicale, una kermesse che non è solo evento, ma qualcosa di più. Time In Jazz è un respiro, piuttosto. E nasceva, per caso, nel 1988, quando dopo un concerto con il suo quintetto storico, Paolo Fresu viene coinvolto dal sindaco dell’epoca per “pensare qualcosa per il paese”, disse proprio così. Ed è in questa occasione che a Paolo viene in mente quello che ancora oggi coinvolge artisti internazionale dell’Arte del Jazz. Perché il jazz è un’arte, non c’è che dire. All’inizio, qualche centinaio di coraggiosi, incurabili jazzofili e molte perplessità nel paese. È stata una conquista graduale, a piccoli passi, nota dopo nota. Negli anni la piazza principale di Berchidda, il cuore pulsante del paese, e quindi del festival, è divenuta una cassa armonica del jazz internazionale: oggi sono una quindicina i paesi che partecipano al progetto. E la parola d’ordine è condivisione – per questo motivo, non è certo sbagliato definirlo “un respiro” – visto che ogni anno le stelle del jazz, volontari, sponsor, amministratori, convivono assieme, annaffiando le cene con un buon vino Vermentino, sempre fresco. Come fresca è la musica del jazz che porta Fresu ogni anno.
Ma un’altra città, per il giovanissimo Fresu, diviene “porta del cielo”. È Sassari con il suo conservatorio. La cattedra di contrabbasso classico è tenuta da Bruno Tommaso, uno dei maggiori specialisti del jazz del panorama internazionale. Nel 1980, Bruno Tommaso consiglia al giovane studente di frequentare i Seminari Senesi di Jazz, nati solo un paio d’anni prima. Non sono ancora i corsi “ufficiali” di Siena Jazz, la scuola d’eccellenza ormai conosciuta in tutto il mondo, ma ne costituiscono l’embrione primo. Fresu lascia per la prima volta la sua Isola e nell’estate del 1980 approda nella terra toscana. Altri paesaggi, altri colori, ma sempre un “denominatore comune”: il jazz, l’immancabile e intramontabile jazz. È questo senese, un altro tassello per la vita di Paolo, perché il mosaico di note comincia a essere davvero interessante. Tanto che nel 1982 arriva alla prima registrazione per Radio3. È sempre il suo maestro Bruno Tommaso a essere decisivo. Lo chiama, infatti, per la trasmissione radiofonica “Un certo discorso”. Il maestro Tommaso è anche compositore e così prepara un repertorio per la trasmissione con una neonata orchestra. Tutto nuovo, insomma. Musica, strumenti, persone, anime e cuori. Fra questi, c’è quello di Fresu che viene a contatto con la realtà della radio. È il primo ingaggio fuori dalla sua amata Sardegna. E proprio al suo maestro, deve una regola fondamentale per l’arte, per il jazz, a cui Fresu continua ancora a rifarsi: dare importanza ai rapporti umani, prima di tutto, perché l’arte non è altro che dialogo fra Uomini.
Enumerare i successi, i percorsi umani e artistici di questo grande nome che ha portato la Sardegna nel cuore, e continua a portarla, sui palcoscenici internazionali, sarebbe una impresa non certo semplice. Proviamo tuttavia, in chiusura, a ripercorrere il cammino stellato della sua carriera. Nel 1990 vince il premio indetto dalla rivista Musica Jazz come miglior musicista italiano, miglior gruppo (Paolo Fresu Quintet) e miglior disco per il suo “Live in Montpellier”.
Nel 1996 vince il premio di miglior musicista europeo con la sua opera presso l’Académie du Jazz di Parigi, ed il prestigioso Django d’Or, come miglior musicista di jazz europeo. Anno 2000, la nomination come miglior musicista internazionale. Ha registrato oltre quattrocento dischi. Novanta a proprio nome o in leadership, gli altri con collaborazioni internazionali.
È stato più volte ospite in grandi organici quali la G.O.N. – Grande Orchestra Italiana, l’ONJ – Orchestra Nazionale di Jazz francese, la NDR – orchestra della Radio tedesca di Amburgo. Insomma, di strada, quel giovane venuto da quel paese prima sconosciuto, dal nome così strano, ne ha fatta molta. E tanta ne farà. Di questo, ne siamo certi.