Ed Carlsen, “Gravity” e l’etica del contrasto

L’ultimo Ep del musicista sardo chiude con successo una trilogia iniziata nel 2019

Ed Carlsen. 📷 Alessandra Scoppetta

📷 Alessandra Scoppetta

«La passione per il contrasto l’ho sempre avuta», dice Ed Carlsen dall’altra parte dello schermo. «Con il lavoro di introspezione durante la scrittura di “Gravity” ho scoperto che combinare le parti antitetiche che tutti abbiamo dentro è molto più d’aiuto e di beneficio che non sopprimerne una. Unirle, integrarle… è sicuramente di grande beneficio».

Di Ed Carlsen, al secolo Edoardo Pucci, abbiamo già scritto in precedenza. Nasce in Sardegna, cresce ai quattro angoli dell’Europa e attualmente vive a Cagliari. Sulle spalle ha una fitta produzione discografica e molte collaborazioni.

Gravity” è il suo ultimo Ep, pubblicato lo scorso 30 settembre per XXIM Records. Le cinque tracce potrebbero essere catalogate sbrigativamente sotto l’etichetta “musica elettronica”, ma in realtà respirano a pieno polmoni quell’integrazione interiore fra componenti contrastanti di cui parla l’autore. A partire dalla opening-track “Mooring” che ci fa entrare nell’Ep stendendo tappeti intrisi di drone e synth drum magnetiche per poi guidarci in un continuum siderale al pianoforte spettrale di “Højvande”. «La prima traccia significa “approdo” e l’altra “alta marea”. Della serie: c’è stato il ritorno, ma quali erano le condizioni del mare?»

Ancora contrasto e ancora dialettica. Sullo sfondo, il mare e il ritorno a casa. Non poteva che essere così: l’Ep, insieme ai precedenti “Morning Hour” (2019) e “Grains of Gold” (2021), forma una trilogia sul concetto di home, solo parzialmente traducibile in italiano con la parola “casa”. Tre album che possono essere visti come concept, e Pucci da amante del prog-rock rimarca questa specificità narrativa evidenziando un’evoluzione compositiva: «Dal 2019 a oggi ho trovato con maggior facilità spazio per elementi melodici più definiti».

Una trilogia non premeditata, ma «del tutto involontaria. Adesso ha questa forma perché mi sono reso conto che gli ultimi tre lavori avevano un ruolo ben definito all’interno di questa ricerca. Il primo era una nostalgia sul “sentirsi a casa”, ma è un concetto molto metaforico e non necessariamente geografico. “Grains of gold” è una descrizione accurata di cosa vuol dire sentirsi a casa a partire dalla mappa di una città ideale che vedevo in sogno. Quest’ultimo parla proprio del ritorno a casa, ma è un caso che abbia coinciso con il mio ritorno in Sardegna. Non riguarda il ritorno in Sardegna in senso fisico. Ha a che fare con un modo di sentirsi». La pandemia e la guerra sono fra le cause di questa riflessione, l’uso di crescendo minimalisti e radioheadiani (“On Eloquence”) alcuni dei sentieri tracciati.

Il disco è breve e a fuoco e la convivenza tra sintetizzatori e pianoforti è sempre bilanciata. Le immagini sonore si susseguono e con loro le suggestioni si moltiplicano. «Uscire per strada, capire come percepisci l’aria e la luce, il clima… Tutte queste cose influenzano eccome la composizione. Tutte le percezioni vanno a influenzare quello che vado a scrivere. Se io riascolto i miei brani riesco a dire: “Questa è Copenaghen, questa è Londra”». Pucci fa riferimento agli ascolti di “Nils Frahm” come momento di grande ispirazione compositiva e alle parole di Steven Wilson (Porcupine Tree) sulla necessità di assecondare se stessi e non le aspettative di pubblico o le logiche di mercato.

“Gravity” scorre via: la chiusura emblematica è affidata alla nostalgia pianistica di “Dissolution”. Mettere in gioco la propria emotività in modo così diretto non è da tutti: Ed Carlsen lo fa ed è centro pieno.

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