Riconosciuto come patrimonio orale e immateriale dell’umanità dall’UNESCO nel 2006, il canto a tenore è un canto a quattro voci che rappresenta una delle più importanti forme artistiche tra quelle comprese nel patrimonio culturale sardo di matrice tradizionale.
È importante anzitutto sottolineare come con la parola tenore si indichi tanto il tipo di canto quanto il gruppo di cantori che vi si dedica (e non il cantore singolo).
Per quanto riguarda le origini di questa peculiare forma poetico-musicale, se si tiene conto della raffinatezza della sua struttura formale e della pluralità di varianti riscontrabili nei vari paesi in cui il canto a tenore è diffuso, esse sembrano perdersi nel tempo: le prime testimonianze scritte risalgono a un periodo compreso tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, quando questa modalità espressiva veniva già percepita come “antica”.
Ciò che appare chiaro è che questa pratica rivestiva e ancora riveste un ruolo fondamentale in numerosi centri sardi, scandendo i momenti di aggregazione sociale sacri e profani e dando vita a un patrimonio poetico che tuttora accoglie e restituisce, nella sua ricchezza di forme e contenuti, il ritratto delle differenti comunità isolane. Le cornici usuali delle performance di su tenore sono gli tzilleri (i bar) e le feste civili, religiose e familiari su un areale piuttosto esteso, che comprende un gran numero di paesi nel Nord e nel centro della Sardegna.
Su tenore può essere sinteticamente definito come esecuzione polifonica che si avvale di una voce solista, sa boghe (la voce, appunto), la quale canta un testo poetico e viene accompagnata dagli altri tre cantori, su bassu, sa contra e sa mesu boghe i quali le forniscono una solida base armonica intonando sillabe nonsense (anch’esse suscettibili di variazioni a seconda dei paesi) e unendosi al cantore solista con successivi “blocchi” di accordi (corfos) caratterizzati da un cantato gutturale.
Le formule melodico-armoniche utilizzate, ben note ai cantori, vengono variamente combinate seguendo uno schema formale tradizionale. Queste si alternano però in maniera non rigida, lasciando spazio all’improvvisazione e rendendo così ogni prassi esecutiva originale e irripetibile con abbellimenti e virtuosismi estemporanei che dipendono dalla sensibilità e dal gusto estetico dei componenti del tenore.
Il repertorio poetico-musicale di questo canto è costituito da tre forme principali: il canto a sa boghe seria o boghe ‘e notte, che consiste in un canto lento, malinconico. Fondato su due strutture di base, s’isterrida e sa zirada, è uno degli stili più noti e diffusi, di tematica amorosa, modulato su testi poetici costituiti da endecasillabi e legato all’usanza delle serenate notturne.
Ulteriori forme sono invece la versione a tenore dei muttos, canti di contenuto umoristico o amoroso e, spesso, dagli accesi toni polemici, e il più vivace canto a boghe ‘e ballu (o canti a ballos), nato appunto per accompagnare i balli.
Il canto a tenore è un simbolo identitario molto sentito dalle vecchie e dalle nuove generazioni, soprattutto in tempi in cui il declino della cultura agro-pastorale e lo spopolamento mettono a dura prova la conservazione di pratiche culturali la cui trasmissione si basa sull’oralità.
Negli ultimi cinquant’anni, l’unicità di questa forma artistica ha destato l’interesse degli studiosi e di un pubblico sempre più vasto: il folk revival degli anni Settanta accende i riflettori sulla musica popolare e fa sì che alcuni gruppi di cantori divengano vere e proprie celebrità e instaurino proficue collaborazioni con artisti internazionali, costruendo in questo modo ponti tra la musica di tradizione sarda e altri generi musicali.
È il caso dei cantori di Neoneli, piccolo centro dell’oristanese, attivi dal 1976, con alle spalle tournée di centinaia di spettacoli nei cinque continenti e collaborazioni con artisti quali Giovanna Marini, Francesco Guccini, Angelo Branduardi, Ligabue, PFM, The Chieftains, Elio e molti altri. Attualmente costituito dal fondatore e direttore artistico Tonino Cau, Ivo Marras, Roberto Dessì, Peppeloisu Piras e Angelo Piras, il tenore vanta una nutrita discografia (per saperne di più rimandiamo al sito ufficiale tenoresneoneli.it) che rispecchia la volontà di intendere il canto tradizionale come qualcosa di vivo e mutevole, su cui è possibile innestare contenuti nuovi, legati all’attualità e con un loro specifico peso sociale e culturale: questo tenore inizia infatti la propria attività artistica scrivendo i primi testi di protesta relativi all’industrializzazione sfrenata, affrontando la delicata tematica delle basi militari in Sardegna, parlando di emigrazione.
Altro tenore storico che ha attirato l’attenzione degli etnomusicologi e in merito al quale esiste una vasta documentazione (si veda, per citare un solo esempio, il documentario Alle radici della musica sarda – La storia dei Tenores di Bitti) è il gruppo bittese Remunnu ‘e Locu (tenoresdibitti.net), nato nel 1974, a cui peraltro si deve il merito di aver fondato, in collaborazione col comune di Bitti, la Scuola di Canto a Tenore per avvicinare i giovani a questa pratica canora.
Anche i cantori di Bitti (Andrea Sella, Dino Ruiu, Mario Pira e Pierluigi Giorno) possono vantare incontri e collaborazioni con artisti internazionali del calibro di Frank Zappa, Lester Bowie, Ornette Coleman e la scoperta da parte di Peter Gabriel, un incontro, quest’ultimo, suggellato dalla pubblicazione dei lavori del gruppo per l’etichetta discografica Real World. Il 2024 li ha visti protagonisti con Mahmood sul palco della 74esima edizione del Festival di Sanremo, con una rivisitazione emozionante di “Come è profondo il mare” di Lucio Dalla.
Queste sono soltanto due delle numerosissime realtà legate al canto a tenore che fioriscono in tutta la Sardegna, da Orune a Orosei, da Mamoiada a Oniferi: ognuna con un proprio specifico codice poetico-musicale e un repertorio tutto da scoprire.