Francesca Sassu, va in scena la voce. Espressività e sonorità in perfetta alchimia

Uno dei soprani più talentuosi della sua generazione, una voce calda e rotonda che l’ha portata, negli ultimi quindici anni, a calcare palchi e ruoli prestigiosi. Francesca Sassu, ha iniziato, quasi per caso, in una corale della sua Sassari che l’ha spinta giovanissima a perfezionare gli studi al Conservatorio Canepa di un’arte che le veniva naturale. Un master con la Kabaivanska e Bruson e poi la guida della Frittoli, sua maestra. A soli venti anni vince un concorso internazionale decretando l’inizio della sua carriera nell’Opera lirica. Il lavoro con Muti, il Teatro alla Scala di Milano, Salisburgo, Tokio, il San Carlo di Napoli, La Fenice di Venezia, L’Arena di Verona sono solo alcune delle tappe dove interpreta magistralmente La Traviata, Carmen, La vedova allegra, Norma, La Boheme, Le nozze di Figaro e tanti altri.

Una famiglia, due figli, che la tengono costantemente legata alla sua città natale, dove, come spesso accade, i talenti sono apprezzati forse tardivamente.

Foto Giovanna Vacirca

Ha avuto maestri notevoli, ha una sua cantante di riferimento?
Nutro ammirazione per diverse interpreti per carisma e per tecnica, ma ho sempre rispettato il mio timbro e colore, senza mai forzarli in imitazioni. Un riferimento è senz’altro la mia maestra, Barbara Frittoli.

Cosa ha significato lavorare giovanissima con il maestro Muti? 
É stata una sorta di chiave di volta nella mia carriera. Studiando con la Frittoli, protagonista in diversi ruoli alla Scala diretta da Muti, ero già preparata alla sua forma mentis rigorosa e aderente allo spartito, per cui non è stato difficile apprendere da lui.

Quanto è importante il lavoro su un personaggio?    
Parto solitamente dallo spartito: guardo cosa c’è sotto le righe. Ascolto altre interpreti ma, fondamentalmente, ho un approccio analitico. Mi documento tramite le fonti letterarie, che non sempre corrispondono al libretto. Cerco il vero personaggio, curo molto la parte attoriale che trovo particolarmente congeniale. Sul palco mi diverto, non riuscirei a lavorare con un regista che non assecondasse questo mio lato. E sino ad ora sono stata fortunata.

A proposito di personaggio originale: lei ha lavorato in una produzione particolare della Traviata.             
Si riferisce alla trasposizione per il Luglio Musicale Trapanese con la regia di Andrea Cigni. Vede, quest’opera si ispira a fatti realmente accaduti. Violetta è reale: bella, forte e intelligente, ha saputo fare delle sue doti il suo riscatto sociale. Era quella che in termini attuali chiameremo una escort. Verdi voleva denunciare la licenziosità della società bene del suo tempo ma, per censura, fu sempre rappresentata con abiti di altra epoca in una sorta di edulcorazione. In questa versione, Violetta è moderna, nelle scenografie e nei costumi, in quella che adesso sarebbe la società più vicina a quella del tempo di Verdi. La scena del salone da ballo diventa un club privato e Violetta veste abiti da burlesque. Penso che a Verdi sarebbe piaciuta.

Nei panni di Violetta nella Traviata a Trapani, regia Andrea Cigni

Quanta sé stessa c’è in ogni personaggio, ne ha mai interpretato uno che non le piacesse?       
Metto molto nelle mie interpretazioni, diversamente mi annoierei. Sono maniaca della perfezione, mi piace il bel canto, ma se avessi voluto fare solo quello avrei fatto concerti non l’Opera. Cerco sempre analogie tra me ed il personaggio e faccio collimare il tutto con l’idea del regista. Agli inizi, con un ruolo nuovo, può essere che non lo senta congeniale, soprattutto se molto diverso da me ma, ci sono talmente tante sfaccettature, che un modo per entrare lo trovo. La fatica iniziale lo fa diventare più bello degli altri.

Predilige ruoli drammatici o più leggeri? Uno a cui è particolarmente affezionata?    
Sicuramente quelli drammatici, anche se fino ad ora non mi è capitato altro. Credo però di poter riuscire bene anche in una parte comica. Sono cari tutti, ciascuno ha costruito una parte di me. Violetta forse è il più complesso, con un’evoluzione psicologica che consente di fare tutto: è prostituta, seduttrice, donna innamorata che si sacrifica, poi la malattia, il dolore e la morte. Complesso anche dal punto di vista vocale.

Ha calcato palchi tra i più importanti e prestigiosi, dove si è emozionata di più?        
Non penso che sia il palco ad emozionare. Cantare alla Scala è particolare, certo. Forse però, lo è stato quello dell’Arena di Verona. È magica, pregnante di storia, il direttore d’orchestra è lontano, e tale distanza è difficile da gestire. Si è circondati dal pubblico ed è come se ci abbracciasse. Poi c’è la Fenice a Venezia, palco del mio debutto in Traviata; Torino, che è un po’ come tornare a casa; e Oslo, per il calore del suo pubblico.

C’è ancora interesse per la tradizione? Cosa consiglia ad un giovane?       
I teatri sono sempre affollati da giovani appassionati. C’è tanto amore sia in Italia che all’estero. Mi scrivono diversi ragazzi, a cui rispondo di cercare un insegnante serio, con non solo le capacità ma anche la voglia di mettersi in gioco. Chi inizia ha bisogno di guide ma anche di onestà verso il proprio talento. È difficile ma, fortunatamente, queste persone esistono.

I suoi prossimi impegni?
A marzo sarò a Novara e poi a Ravenna con Le nozze di Figaro, poi al Royal Opera House Muscat con il Lakmè. Ho la Turandot a Bologna, poi Tunisia, Giappone e Pechino, i miei impegni ormai sono calendarizzati per i prossimi due anni.

Toi, toi, toi Francesca.

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