Forelock e Arawak, reggae made in Sardinia

Forelock e Arawak. ? Domenico Rizzo

Quale modo migliore per iniziare il 2016 se non dedicando la nostra cover story a una delle più importanti novità discografiche made in Sardinia? Stiamo parlando di Zero, il nuovo disco di Forelock (al secolo Alfredo Puglia) e della band Arawak, punta di diamante del reggae isolano e nazionale. Prodotto da Paolo Baldini per La Tempesta Dub, l’album si avvale della collaborazione di grandi nomi del panorama internazionale come Steel Pulse, Juba Lion e Dennis Bovell.

Gli Arawak nascono a Sassari nel 2003, spinti dalla comune passione per la musica in levare. In contemporanea con la crescita della cultura reggae nell’isola, il loro progetto matura concretizzandosi in due lavori in studio, Roots Vibrations e Time Has Come, e ottiene importanti riconoscimenti. Forelock entra a far parte della famiglia Arawak nel 2008 per divenirne voce solista nel 2014, all’interno di un rinnovato assetto del gruppo. Le sue straordinarie capacità a livello vocale e compositivo hanno portato il cantante ad affermarsi come nuova promessa del reggae italiano.

Abbiamo incontrato Forelock e Arawak poche ore prima della presentazione ufficiale di “Zero” a Sassari, per parlare con loro – e raccontare ai lettori di S&H – di questo interessante progetto musicale e, soprattutto, del loro nuovo album.

La location degli scatti non è casuale: Piazza Aldo Moro, dal 2012 impreziosita dall’opera di grandi nomi della street art come Blu, Ericailcane e Moneyless, è uno dei suggestivi sfondi del video del singolo Dem Fi Know.

Cosa rappresenta l’uscita di “Zero” all’interno del vostro percorso musicale?
In Zero confluiscono le esperienze, musicali e non, di cui abbiamo fatto tesoro in questi anni. Rappresenta un punto d’arrivo ma anche qualcosa da cui ripartire: nel corso degli anni gli Arawak hanno attraversato diversi mutamenti, sia nella formazione che nel sound. Zero rappresenta il risultato di questa evoluzione, risultato da cui riiniziamo.

Com’è nato l’album e che ruolo ha avuto Paolo Baldini nella sua veste definitiva?
Abbiamo conosciuto Paolo anni fa, nel corso di una collaborazione, e lui si è subito affezionato alla nostra passione per la musica reggae e roots. Quando abbiamo deciso di fare questo album siamo arrivati in studio con parecchio materiale: avevamo una ventina di brani già pronti. Ci interessava però che il disco avesse una propria coerenza interna e, con questo intento, abbiamo scelto dodici tracce. Ciò che ne è rimasto fuori costituirà invece un’ottima base di partenza per i prossimi lavori. Grazie a Paolo siamo riusciti a mettere a fuoco quale fosse il nostro obiettivo nella ricerca di un sound preciso da conferire a Zero e a far funzionare al meglio ogni pezzo. Il suo contributo inoltre è stato fondamentale nell’offrirci una visione “esterna” del lavoro: in una band costituita da sette elementi, e quindi da sette teste diverse, spesso i compromessi compositivi che vengono raggiunti nascono da dinamiche troppo “interne” al gruppo.

Forelock, che impatto hanno avuto i tuoi viaggi in Giamaica sull’approccio compositivo?
Non mi sento di scindere l’aspetto musicale da quello umano: la cosa più importante è stata prendere coscienza delle ragioni per cui questa cultura musicale è così importante per i giamaicani. La Giamaica, che nell’immaginario occidentale è un paradiso terrestre, è in realtà un paese poverissimo, dove la gente ha poco più che la musica. Ciò che per noi è passione o semplice intrattenimento, lì è ragione di vita, l’unico mezzo grazie a cui è possibile uscire dal ghetto, riscattarsi da una vita di miseria.
L’altro aspetto è legato alla lingua: ho avuto la possibilità di conoscere meglio il patwah e capire quanto esso sia inestricabilmente legato alle sonorità di cui questa musica vive.

Che ruolo ha la vostra cultura d’appartenenza nella composizione dei brani?
La potenza espressiva della musica risiede nel suo essere un linguaggio universale: un insieme di note e parole, per quanto legato all’esperienza personale di chi lo produce, diviene per altri qualcosa in cui è spontaneo immedesimarsi. Contemporaneamente è anche uno straordinario veicolo di conoscenza e di dialogo tra popoli: in Giamaica mi è capitato di parlare moltissimo della Sardegna e di riscontrare interesse da parte delle persone, di trovare diversi punti di contatto tra le nostre culture.

La cultura reggae in Sardegna sta rapidamente crescendo, anche grazie a eventi come il Sardinia Reggae Festival. Secondo voi, quali sono le ragioni di questa crescita?
Probabilmente una certa predisposizione da parte dei sardi all’ascolto di queste sonorità deriva dall’essere isolani. Il reggae, inoltre, come tanta altra musica, offre la possibilità di evadere dagli schemi, dalla quotidianità. Quando i primi progetti sono arrivati in Sardegna e hanno iniziato a spargere i semi di quest’ondata musicale, è stato relativamente semplice che si creassero delle condizioni favorevoli alla sua diffusione. Girando un po’, ci siamo resi conto che, ad esempio, il Sardinia Reggae Festival è conosciuto ovunque, anche grazie alle line up sempre molto ricche di nomi internazionali. La Sardegna si presta bene a divenire la nuova “base” italiana per il reggae-roots. La Tempesta Dub, pur non essendo sarda, ha un’attenzione molto particolare per i progetti nati qui.

Cosa pensate della scena musicale indipendente sarda?
Ci è capitato spesso di condividere il palco con altri artisti del panorama musicale alternativo (e non) della Sardegna. Il meglio è quando ci capita di entrare in contatto con un progetto musicale, anche molto “distante” dal nostro, in cui però riconosciamo lo stesso tipo di approccio, di entusiasmo: da incontri del genere può nascere qualcosa di realmente prezioso. Ciò che pensiamo è che in Sardegna ci sia un ambiente musicale vivo e vivace, un grande fermento che produce dei progetti musicali di qualità e che salta agli occhi di chi viene qui: questo è per noi un punto d’orgoglio.

Quali novità porterà con sè il 2016?
L’obiettivo principale è far ascoltare “Zero” il più possibile: è un lavoro che ci rappresenta particolarmente e vogliamo suonarlo in giro per lo stivale e al di fuori di esso. Il riscontro è positivo e abbiamo già ricevuto delle proposte per dei live in primavera.

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