In “Spettri della mia vita” Mark Fisher descrive “Memories from the Haunted Ballroom” di The Caretaker come un’antologia di brani «immersi in una tale quantità di riverbero da dissolversi in un’evocativa audio-nebbia». Stanza per stanza, spostandoci nella “Guest Room”(2022, i dischi di angelica) che Francesco Serra – al secolo Trees of Mint– ha allestito per noi, la sensazione che si prova è abbastanza simile anche se il materiale trattato è decisamente diverso. L’album di The Caretaker parte dall’idea di riproporre le musiche che si sarebbero potute ascoltare nella sala da ballo dell’Overlook Hotel di Shining. Invece la composizione del chitarrista e compositore sardo di stanza a Bologna nasce da una performance registrata in tempo reale e senza sovraincisioni nel Teatro San Leonardo del capoluogo emiliano, una volta luogo di culto, ora sede di AngelicA | Centro di Ricerca Musicale.
“Guest Room” è una suite di tre tracce/movimenti in cui Serra si destreggia fra chitarra, loop machine e rullanti. Bordoni ora umidi ora secchi di ascendenza ambient sorreggono macchie noise. Tutto sembra sospeso, come se nell’abside della ex chiesa filtrasse una luce diafana attraversata da una nebbia che non si dirada. Francesco Serra riesce a fare dello shoegaze pacato, rifugge la frenesia e ci regala un campionario eterogeneo: la chitarra è tenue, tagliente, si alza in volo e plana dolcemente sfruttando ogni millimetro e ogni goccio delle dinamiche a sua disposizione. I rullanti sono polverosi e calibrati. Un’opera che, data la sua complessità, merita un ascolto attento e diremmo rigorosamente in cuffia per coglierne i chiaroscuri. Per registrare la performance, Serra ha utilizzato una peculiare disposizione dei microfoni così da captare la rifrazione dei suoni sulle pareti.
Rimarrà deluso chi si dovesse aspettare le chitarre folkeggianti, il cantato un po’ alla Elliot Smith o i crescendo vagamente post-rock area simil- Mogwai di “Micro Meadow” (2008), disco d’esordio di Francesco Serraa firma Trees of Mint. Ma del resto il musicista cagliaritano aveva già dato segnali evidenti di smantellamento sistematico della forma canzone lungo tutta la sua discografia: già nell’album omonimo del 2012 Francesco Serra/Trees of Mint sperimenta con quattro composizioni dove la voce scompare a favore di affreschi a base di delay, lunghi bisbigli drone e minimalisti arpeggi metallici. Immaginatevi come suonerebbe la colonna sonora di una chiacchierata fra Isaac Asimov e John Fahey nelle sale del Discovery Uno – giusto per scomodare ancora Kubrick. E a dirla tutta la cinematografia non è distante dal mondo di Serra: giusto per fare due esempi, negli anni in cui studia cinema al DAMS mette in atto sonorizzazioni dal vivo; nel 2013 cura la colonna sonora di “Il treno va a Mosca”, documentario sull’Unione Sovietica diretto da Federico Ferrone e Michele Manzolini.
Con le due pubblicazioni successive “Untitled”(2017) e“NW” (2019), rispettivamente su audiocassetta e su disco, Trees of Mint sembra fissare l’antefatto di ciò che sarà “Guest Room” sia sul piano compositivo che contestuale: pochi brani e interamente strumentali posti in serie dove la componente ambientale è perno fondante della resa performativa. La deflagrazione della forma canzone è pienamente in essere, con un’eleganza che ormai è il marchio di fabbrica di Francesco Serra. Gli ingredienti sono simili a quelli di “Guest Room”: spettri di chitarre, tappeti sonori quasi evanescenti, percussioni ipnotiche qua e là.
«A 12 anni il punk rock mi ha incoraggiato a suonare, nonostante la mia tecnica limitata. Nel corso degli anni ho imparato a estendere la timbrica partendo da un set up essenziale e sviluppare un approccio sempre attuale», dice di sé l’autore attraverso la penna di Antonio Briozzo sulle pagine di Rumore n. 365 che lo inserisce nella rubrica “Futura”. La sua musica viene definita come ensemble per «lisergiche visioni e soffuse suggestioni tattili»: consci che Francesco Serra è un autore che dosa con parsimonia le pubblicazioni, tendiamo le orecchie in attesa di prossimi spettri.