Nduduzo Makhathini in Sardegna: echi ancestrali e sonorità contemporanee in concerto a Cagliari e Sassari

Domani al Teatro Massimo e domenica presso Il Vecchio Mulino, sul palco anche il contrabbassista Zwelakhe-Duma Bell Le Pere e il percussionista Francisco Mela per un suggestivo itinerario sonoro sulle tracce del nuovo album “In The Spirit of Ntu”

Nduduzo Makhathini

Nduduzo Makhathini

Echi del Sud Africa con il concerto del pianista e compositore Nduduzo Makhathini, protagonista domani alle 18:00 al Teatro Massimo di Cagliari e domenica 4 febbraio alle 19:00 a Il Vecchio Mulino di Sassari in trio con Zwelakhe-Duma Bell Le Pere al contrabbasso e Francisco Mela alla batteria, per un duplice appuntamento sotto le insegne del CeDAC in collaborazione con l’Associazione Culturale Il Jazzino, per un’anticipazione del ricco programma del Jazz Club Network 2024.

Sulla falsariga di “In the Spirit of Ntu”, il nuovo album uscito per l’etichetta Blue Note Records, dopo il successo di critica e pubblico di “Modes of Communication: Letters from the Underworlds” (2020), considerato tra i migliori dischi del 2021 dal New York Times: dieci tracce significative per esprimere l’“unità dell’essere”, il senso di comunità e l’armonia della natura e del cosmo, dalla più ritmata “Unonkanyamba” all’intimistica “Mama”, alla dimensione quasi rituale di “Amathongo” all’ipnotica “Nyonini Le?”, e ancora il respiro squisitamente jazzistico di “Emlilweni” e “Re-Amathambo” in forma di ballad raffinata e coinvolgente (con un rimando a “Ikhambi”, un lavoro del 2017), la virtuosistica “Abantwana Belanga” e la travolgente “Omnyama”, l’emozionante “Senze’ Nina” (un canto contro la violenza di genere) e il poetico e quasi struggente “Ntu”.

Un’opera che riflette appieno la cifra inconfondibile di Nduduzo Makhathini, che ha raccolto l’eredità di artisti come Bheki Mseleku, Moses Molelekwa e Abdullah Ibrahim, autentiche leggende del jazz africano, conservando un profondo legame con le sue radici culturali e in particolare con la civiltà Zulu, ma attingendo a piene mani dalla ricca matrice della musica improvvisata d’oltre oceano, eleggendo tra i suoi maestri oltre all’immenso John Coltrane con il suo celebre Quartetto, con McCoy Tyner al pianoforte e la dimensione quasi mistica di “A Love Supreme”, alcuni importanti pianisti jazz americani, tra cui Andrew Hill, Randy Weston e Don Pullen.

Nduduzo Makhathini (classe 1982) è cresciuto in Sud Africa, a UmGungundlovu, immerso nella cultura e nelle tradizioni della sua terra, tra memorie ancestrali e contemporaneità, formandosi grazie alla musica dell’eclettico pianista e polistrumentista Bheki Mseleku, di Moses Molelekwa e Abdullah Ibrahim: «I primi musicisti mettevano molte emozioni nella musica che suonavano» – sottolinea il pianista e compositore –. «Penso che possa essere legato anche al clima politico di quei tempi. Sento anche che ci sia un’unicità nel jazz sudafricano che ha creato interesse in tutto il mondo e che stiamo lentamente perdendo anche quella nella nostra musica di oggi. Personalmente ritengo che la nostra generazione debba essere molto consapevole nel mantenere queste sfumature nella musica che suoniamo oggi”.

Fondamentale la scoperta di Coltrane e del Bop americano, ma anche del pianismo di McCoy Tyner: «Sono arrivato a comprendere la mia voce di pianista attraverso “A Love Supreme” di John Coltrane» – afferma Makhathini –. «Avendo iniziato a suonare jazz molto tardi, ho sempre cercato un tipo di modo di suonare che potesse rispecchiare o evocare il modo in cui la mia gente ballava, cantava e parlava. Tyner ha saputo rappresentarli in modi significativi».

La musica di Nduduzo Makhathini – uno tra gli artisti contemporanei sudafricani più attenti e impegnati nella diffusione della cultura del suo Paese nel mondo- insieme arcana e universale, attraversata da suggestioni arcaiche e intrisa di modernità, in cui si intrecciano spiritualità e radici, tra melodie struggenti e emozionanti, metrice ipnotiche e travolgenti, che gettano un ponte tra passato e futuro.

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