Valley of the Gods: il surreale scontro tra mitologie

Il nuovo film di Lech Majewski, con John Malkovich e Josh Hartnett, traspone la lotta tra il mito occidentale e quello della leggenda Navajo in un viaggio onirico che tende all’assurdo

John Malkovich

È difficile catalogare questo Valley of the Gods, un film impegnativo da seguire, un film autorale ma non in maniera convenzionale, a tratti onirico e stupefacente. Un film di difficile intuizione che esplora tanti temi, talvolta contrapposti, tra cui l’amore, la ricchezza, la solitudine, la fede.

Una cosa è certa: è mortificante vedere questo nuovo lavoro del maestro polacco Lech Majewski in tv o su un pc, perché per sua natura è un film pensato per essere visionato sul grande schermo.

LA TRAMA

“Valley of the Gods” si divide in 10 capitoli ed un prologo finale, e si apre con lo spettacolare paesaggio aperto e sconfinato del polveroso deserto americano, girato tra Utah, New Mexico e Arizona.

Il protagonista, lo scrittore in crisi John Ecas, interpretato da un convincente Josh Hartnett, sembra vagare in auto tra queste lande desolate. La sua storia si intreccia a quella del grande John Malkovich nei panni dell’uomo più ricco del pianeta, Wes Tauros, che si è messo in testa di comprare le terre sacre della popolazione nativo-americana dei Navajo, ricche di risorse.

Si inizia a delineare così il vero tema del film, lo scontro tra i due miti: quello occidentale dell’opulenza ingorda contro la saggia spiritualità delle antiche leggende Navajo.

Una lotta simboleggiata dall’enorme magione di Tauros dalle stanze infinite piene di affreschi e servizi lussuosi. Una personificazione del potere contrapposta a quella di un giovane Navajo, povero in canna e pieno di rabbia mal gestita dovuta dall’impotenza di fronte al dominio dei soldi che presto gli strapperanno via la sua terra.

Durante la conferenza stampa per la presentazione, Majewski parla anche di un intento più nascosto del suo lavoro ossia un’aspra critica al cinema commerciale.

Se vuoi distruggere il senso dell’assurdo, usa l’assurdo” dice il terapista allo scrittore in crisi.

E l’autore fa proprio questo, usa l’assurdo come linguaggio primario del film a significare appunto l’assurdità del sistema cinematografico che va per la maggiore al giorno d’oggi. La sua è una chiamata a un risveglio dal torpore in cui ci lascia cadere quel sistema.

I RIFERIMENTI DEL FILM

“Valley of the Gods” fa sì parte della tradizione del cinema d’autore, ma ha anche una visione da kolossal con scene mozzafiato che sembrano uscite dai film della Marvel. E in effetti, il regista ammette di essersi ispirato, in parte, anche al mondo dei fumetti sui supereroi. Pensiamo all’iconico castello erto sulla montagna che ricorda quello di una favola gotica o al rapporto tra il personaggio di Malkovich e il suo maggiordomo, un chiaro riferimento a Batman e Alfred. O ancora il treno a forma serpentina che si intravede nel trailer, con l’affascinante donna a bordo (Bérénice Marlohe). C’è poi l’apprezzatissimo omaggio a “2001: Odissea nello Spazio” di Kubrick nella scena dello screen alla retina oculare che permette l’accesso al castello. Un omaggio dovuto, non solo vista l’innegabile dimensione kubrickiana del film, ma soprattutto per la partecipazione di Keir Dullea, il mitico protagonista del capolavoro di Kubrick.

E non manca il riferimento alla nostra tradizione italiana, a cui Majewski dichiara apertamente di ispirarsi, nella spettacolare scena girata alla vera Fontana di Trevi a Roma. E forse a qualcuno il Wes Tauros di Malkovich che vaga per un’infinita regale residenza avrà ricordato persino il Papa di Sorrentino della seconda stagione della serie “The New Pope”.

AL CINEMA

Distribuito da CG Entertainment in collaborazione con Lo Scrittoio, il film uscirà nelle sale italiane il prossimo 3 giugno, e per questo “Valley of the Gods” vale davvero la pena di tornare nelle sale del cinema dopo tanto tempo.

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