House of the Dragon: ritorno nel mondo di “Game of Thrones”, sotto il segno del drago

Inizia oggi su Sky Atlantic e Now, in contemporanea con gli Stati Uniti, la prima stagione della serie prequel de “Il Trono di Spade”: si racconta l’epopea sanguinaria e avvincente di Casa Targaryen

House of the Dragon. ? Ollie Upton

House of the Dragon. ? Ollie Upton

Sono ormai trascorsi tre anni dalla fine dell’ottava e ultima stagione de “Il Trono di Spade”, la serie tratta dal ciclo di romanzi “Cronache del Ghiaccio e del Fuoco” di George R. R. Martin, e sebbene la conclusione di questa saga amatissima non abbia soddisfatto gran parte del fandom, di certo il ritorno a Westeros -la parte occidentale del continente in cui si svolgono le vicende narrate- è accompagnato da grande trepidazione; l’attesa è ormai finita, perché a partire da oggi su Sky Atlantic e su Now comincia una nuova avventura, sotto il segno delle creature più straordinarie e terribili che hanno solcato i cieli del mondo creato da George R. R. Martin, ovvero i draghi: la prima puntata di “House of the Dragon” va infatti in onda stasera alle 21:15 -dopo essere stata trasmessa in prima visione in contemporanea con gli Stati Uniti alle 3 del mattino- in lingua originale e con i sottotitoli in italiano, e introduce gli spettatori alle origini di Casa Targaryen, una delle casate nobiliari più importanti del ciclo narrativo de “Il Trono di Spade”, il cui stemma è un drago rosso a tre teste, che si staglia su uno sfondo nero.

La serie, composta da 10 episodi di circa 60 minuti ciascuno, è tratta dal romanzo “Fuoco e Sangue”, pubblicato nel 2018, in cui Martin ha scelto di raccontare la prima parte della complessa epopea dei Targaryen, che si concluderà in un secondo volume di futura realizzazione; le vicende narrate si svolgono circa duecento anni prima delle “Cronache del Ghiaccio e del Fuoco” e vedono la casata, originaria dell’Impero di Valyria, regnare incontrastata su Westeros, dopo le conquiste del mitico Re e Signore dei Draghi Aegon I, che partendo da Roccia del Drago, isola sulla costa orientale del continente, conquista ben sei dei Sette Regni e fonda la città di Approdo del Re. Il pericolo, per il potere dei Targaryen, si nasconde però tra i rami della loro stessa discendenza; Jaehaerys, il nipote di Aegon I, infatti, in punto di morte è chiamato a scegliere un erede tra i nipoti, poiché i suoi figli maschi sono morti: la scelta è fra Rhaenys (Eve Best) e il suo giovane cugino Viserys (Paddy Considine).

Nonostante Rhaenys sia più adatta al trono e prima in successione, la scelta del Consiglio convocato dal re morente cade su Viserys, mentre sua cugina passa alla storia come “la Regina che non fu”; qualche tempo dopo, come per un terribile scherzo del destino, Viserys, ormai malato, si trova a dover scegliere chi gli succederà sul Trono di Spade e anche stavolta i contendenti sono una donna, la sua primogenita Rhaenyra (Emma D’Arcy), e un uomo, suo fratello minore nonché zio di Rhaenyra, Daemon (Matt Smith). Il carattere turbolento di quest’ultimo, però, sembra spingere Viserys a scegliere sua figlia come erede, su consiglio del fedele Primo Cavaliere Sir Otto Hightower (Rhys Ifans), che mal tollera le intemperanze e i vizi di Daemon e mai vorrebbe vederlo sul trono; quest’ultimo, d’altra parte, ritiene che Sir Otto sia fin troppo coinvolto nella gestione del potere e miri a sfruttare il legame esistente tra Rhaenyra e sua figlia Alicent Hightower (Olivia Cooke).

Riuscirà una donna, per la prima volta nella storia di Westeros, a salire sul Trono di Spade?

Fin da queste premesse è facile intuire quanto il tema del potere femminile sia centrale nella storia di Casa Targaryen; Rhaenyra è pronta a essere regina, è un’abile “cavalca draghi”, così come suo zio Daemon, e si presenta come un personaggio forte, volitivo, degna antenata di quella Deanerys Targaryen (Emilia Clarke) che tanto pare somigliarle, non solo fisicamente. D’altra parte, i capelli argentei e gli occhi violacei, oltre alla familiarità con i draghi, sono tra le caratteristiche peculiari dei membri della casata, in cui sono frequenti i matrimoni tra consanguinei: anche in questa tendenza incestuosa risiede la spiegazione della follia che, spesso, caratterizza i Targaryen, portandoli alla rovina e alla morte; di certo “House of the Dragon” racconta la casata nel pieno del suo splendore e, tuttavia, è capace di evidenziare i segni dell’autodistruzione che la mina dall’interno. In questa efficace commistione tra meraviglia e orrore, tra bellezza e abominio, risiede il fascino dei Targaryen, che “Il Trono di Spade” ha mostrato come una famiglia ormai decaduta, e che qui è invece protagonista, nel bene e nel male, della storia di Westeros e di una guerra fratricida, la “Danza dei Draghi”, che la segnerà per sempre.

Il confronto con la serie dei record -negli Stati Uniti HBO ha segnato per l’ultimo episodio di “Game of Thrones” quasi 20 milioni di spettatori- è inevitabile, ma a garantire la qualità dello show c’è lo stesso George R. R. Martin, accreditato come co-creatore insieme a Ryan J. Condal; alla colonna sonora torna il compositore tedesco di origini iraniane Ramin Djawadi, già autore delle musiche delle 8 indimenticabili stagioni de “Il Trono di Spade”: molti più draghi, questa volta, solcheranno il cielo di Westeros, e, insieme alle inconfondibili note di Djawadi, guideranno il pubblico proprio là dove ha atteso di tornare per tre lunghi anni.

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