Elvis: the King of Rock ‘n Roll rivive al cinema nel film di Baz Luhrmann

Nelle sale italiane, il biopic racconta il mito fulgido e struggente di Elvis Presley, il re del rock che sconvolse l’America degli anni ’50; nel cast Austin Butler e Tom Hanks

Austin Butler nel film “Elvis”

Il regista australiano Baz Luhrmann torna al cinema nove anni dopo il successo de “Il grande Gatsby” interpretato da Leonardo DiCaprio e lo fa con un biopic ambizioso, dedicato alla stella del rock ‘n roll Elvis Presley: chiunque conosca anche solo superficialmente la filmografia di Luhrmann (“Ballroom”, “Moulin Rouge!”) può intuire quanto la cifra stilistica del regista ben si adatti a raccontare questo mito della storia della musica, attraversato dalla forza dirompente della rivoluzione e dalla tragedia quasi inevitabile della caduta. Il titolo scelto per il film -nella sale italiane a partire dal 22 giugno- è “Elvis”, nome che fin dal trailer appare come scolpito in caratteri rossi e oro sugli schermi dei cinema, semplice e tuttavia sufficiente a evocare il solo e unico “King of Rock ‘n Roll”; a interpretarlo è Austin Butler (“The Carrie Diaries”,“The Shannara Chronicles”), che ha sbaragliato la concorrenza di più noti colleghi, preparandosi con assoluta dedizione all’interpretazione di un performer dotato di carisma e presenza scenica fuori dal comune.

Il racconto dell’ascesa di Elvis Presley, dalla condizione di povertà in cui è nato a Tupelo (Mississipi) nel 1935 fino al successo e alle platee deliranti durante le sue esibizioni, ai concerti dal vivo così come durante i programmi televisivi nell’America puritana degli anni ’50, è dirompente e conferisce alla prima parte del film un ritmo quasi forsennato, che investe gli spettatori e li trasporta sul palcoscenico, dove il protagonista compie quella rivoluzione musicale che lo renderà famoso anche oltre gli States. L’essenza di Elvis, fin dagli esordi, rappresenta una rottura rispetto a un mondo ancora pesantemente attraversato dal razzismo, in cui ci sono radio che tramettono musica “bianca” e musica “nera”: cresciuto in prossimità del quartiere afro-americano di Tupelo, il giovane Elvis ne assorbe la cultura musicale, assiste a esibizioni di personaggi quali B.B. King rimanendone affascinato e accoglie nella sua arte influenze diverse. Anche il suo aspetto è rivoluzionario: i capelli lunghi, tirati all’indietro, cotonati e impomatati in un ciuffo eccessivo -alla “Pompadour”- sono il perfetto accompagnamento per il suo abbigliamento, un’esplosione di colori sgargianti, frange e lustrini; le movenze, con il tipico ondeggiare del bacino, vengono considerate scandalose, al punto da provocare le proteste di numerose associazioni religiose, ma altro non sono se non la messa in scena di una possessione, che richiama il rak, danza dell’Africa occidentale alle origini del rock.

La portata del cambiamento insito nella musica di Elvis Presley, in cui rock ‘n roll e rockabilly sono contaminati da rhythm and blues e musica country, ma anche da gospel e spiritual, viene dunque evidenziata dal regista con un montaggio serrato e l’uso ripetuto dello split-screen, col bianco e nero, come nei filmati originali dell’epoca, e con l’alternanza di soggettive e prospettive di inquadratura più estreme attraverso cui entrare nella storia; così, con lo stesso sguardo degli spettatori, il Colonnello Tom Parker, interpretato da Tom Hanks, intuisce le potenzialità di Elvis e si offre di fargli da manager, ponendo le basi per un sodalizio destinato a durare nel tempo. Tra concerti, ospitate televisive e film, Parker porta Elvis al successo internazionale, ma si rivela ben presto interessato ad arricchirsi sfruttandone il talento, piuttosto che accompagnarlo e consigliarlo con l’equilibrio che sarebbe stato necessario a gestire un tale successo.

Nella seconda parte del film, dunque, il ritmo della narrazione cambia e lungo 20 anni di storia degli Stati Uniti, costellati di eventi epocali come l’assassinio di J.F. Kennedy, si mettono in moto i meccanismi del disfacimento, fisico e psicologico, che lentamente si fa strada nella vita della star, pur costellata da momenti felici, come il matrimonio con Priscilla Presley (Olivia DeJonge).

La musica non smette di essere protagonista del film nemmeno per un istante e non potrebbe essere altrimenti: Austin Butler interpreta con efficacia alcuni grandi classici di Elvis, come “Trouble” o “Baby, Let’s Play House”, tuttavia Baz Luhrmann, come dichiarato in un’intervista pubblicata su Rolling Stones, ha voluto rendere accessibile anche al pubblico più giovane il repertorio dell’artista, con degli arrangiamenti moderni: “C’è questa versione di “Bossa Nova Baby” che sembra una lounge molto elegante, ma di fatto all’epoca era un pezzo pop, quindi ho fuso la lounge con sonorità pop anni ‘90. Ho fatto lo stesso in “Viva Las Vegas”, mettendoci un po’ di “Toxic” di Britney Spears, ma in ogni caso non mi sono mai spinto troppo oltre, ho cercato sempre il giusto equilibrio”.

La colonna sonora del film, oltre a Austin Butler e, ovviamente, allo stesso Presley, vede la partecipazione di numerose star internazionali; la rivista Variety ha stilato una piccola guida, utile a orientarsi nei prestigiosi arrangiamenti, in cui compaiono, tra i tanti, Eminem e CeeLo Green, Chris Isaak, Doja Cat e, infine, i Måneskin con il brano “If I Can Dream”, che chiude i titoli di coda del film. Non poteva esserci omaggio più significativo, per il Re, che quello di cantare ancora una volta la sua musica dimostrando quanto abbia influenzato la storia del rock e quanto ancora oggi possa comunicare al pubblico: “Se sei in cerca di guai / Sei venuto nel posto giusto / Se sei in cerca di guai / Guardami dritto in faccia”, cantava Elvis nel brano “Trouble” e suona come una sfida al mondo, lanciata da un giovane che, oggi come ieri, vuole rompere gli schemi e affermare con forza il proprio talento.

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