“Flaminia”: quando il racconto della diversità ha la potenza dirompente della stand-up comedy

Senza tradire lo stile graffiante e diretto che l’ha resa famosa, Michela Giraud porta sul grande schermo un racconto ispirato al rapporto con la sorella Cristina, che convive con l’autismo

Michela Giraud in “Flaminia”

Michela Giraud in “Flaminia”

Chi ama Michela Giraud e negli ultimi anni è stato conquistato dalle sue incursioni narrative dissacranti, che raccontano la società moderna tra desideri e ossessioni condivise e condivisibili, chi ha apprezzato l’immediatezza del suo linguaggio, arricchito da contaminazioni romanesche, e del suo approccio sferzante al pubblico nell’arena della stand-up comedy, non vorrà certo perdere la sua prima prova da regista: “Flaminia”, questo il titolo del film che la vede anche nel ruolo di co-sceneggiatrice e attrice protagonista, esce nelle sale giovedì 11 aprile e rappresenta una tappa importante nella carriera di quest’artista, che con leggerezza porta sul grande schermo alcuni temi particolarmente attuali e sentiti, attingendo dalla propria esperienza personale.

Chi è Flaminia? Una ragazza di Roma nord, desiderosa di affermarsi seguendo i canoni riconosciuti di bellezza e successo, in un mondo alto-borghese tanto patinato quanto superficiale; figlia di un noto chirurgo plastico (Antonello Fassari) e promessa sposa di Alberto (Edoardo Purgatori), figlio di un diplomatico (Andrea Purgatori, nella sua ultima apparizione cinematografica prima della prematura scomparsa) e di una delle più famose dame di carità della Capitale (Nina Soldano), Flaminia è sul punto di raggiungere l’apice della scala sociale che lei e la sua famiglia hanno cercato in ogni modo di conquistare. A sconvolgere i loro piani arriva però Ludovica (Rita Abela), sorellastra di Flaminia nello spettro autistico, espulsa dalla comunità che la ospita per aver appiccato un incendio.

Totalmente priva di filtri, Ludovica irrompe nella quotidianità di Flaminia smascherandone le ipocrisie e costringendola a costruire, forse per la prima volta nella sua vita, un rapporto autentico, che inaspettatamente la pone in contatto con se stessa e con i propri reali desideri, senza la mediazione delle aspettative imposte dalla famiglia, dalla società e dai social media.

La diversità, raccontata con intelligenza e ironia, senza incorrere negli estremi del pietismo o della “genialità incompresa”, si pone nel film come un’opportunità da vivere pienamente: Giraud non ne cela le insidie e i dolori, ma è capace di restituirne la ricchezza proprio attraverso Ludovica, che sconvolge l’esistenza di chi la circonda; l’approccio diretto alla vita di questa sorella ritrovata squarcia il velo delle convenzioni, proprio come la stand-up comedian Giraud fa con le parole dal palco, quando la sua comicità si manifesta, con efficacia, grazie a una stratificazione dolceamara di significati.

La trama del film, inizialmente, doveva ricalcare un racconto scritto dalla stessa regista, contenuto nel libro “Tea. Storia (quasi) vera della prima messia” (HarperCollins, 2020), ma dopo un confronto con i suoi co-sceneggiatori, Francesco Marioni, Greta Scicchitano e Marco Vicari, Giraud decide di basarsi sulla propria esperienza personale e di ispirarsi a sua sorella Cristina, che convive con l’autismo, per delineare le caratteristiche del personaggio che cambierà per sempre la vita di Flaminia. “Nel film non racconto fatti realmente accaduti”, ha spiegato Giraud nelle interviste promozionali, “Tuttavia c’è una grande autenticità, nelle situazioni e nei sentimenti descritti. Per me, questo film, è stata una sfida enorme, generalmente uso l’ironia come una corazza, pur raccontando di me, ma qui mi sono lasciata andare. È stata, letteralmente, una bomba emotiva. Anche l’attrice Rita Abela, interprete di Ludovica, ha sottolineato quanto questo ruolo l’abbia segnata: “Il confronto con un personaggio di questo genere scardina tutte le tue sovrastrutture, mi ha cambiata come persona, mi ha reso migliore”.

Proprio riguardo al casting per il ruolo di Ludovica, Giraud ha raccontato quanto sia stato difficile trovare la giusta attrice, che le restituisse l’autenticità, l’immediatezza che stava cercando, pur avendo provinato molte talentuose interpreti; ancora, la regista ha offerto un’interessante riflessione circa lo stereotipo che, nel mondo del cinema, vede le protagoniste femminili impersonate sempre da attrici con una fisicità ben definita: “Vedo solo rappresentazioni univoche, con protagoniste che indossano la taglia 40 e hanno il nasino all’insù. Un certo tipo di fisicità, “diversa”, per così dire, di solito è associata a ruoli secondari, ma io vorrei che bambine e ragazze potessero trovare rappresentate, nelle storie, anche delle alternative, e non solo come comprimarie”.

Sul grande schermo, del resto, Flaminia e Ludovica raccontano una storia autentica: la sorellanza, in questo caso, si svela con la stessa, malinconica leggerezza di una battuta ben scritta, capace di farci sorridere dei nostri guai e di regalarci la speranza di poterli aggiustare, nonostante tutto.

Exit mobile version