Per l’Epifania gli amanti dello scrittore Edgar Allan Poe troveranno nella loro “calza cinematografica” un regalo prezioso: esce infatti il 6 gennaio su Netflix il film “The Pale Blue Eye – I delitti di West Point”, diretto da Scott Cooper e tratto dall’omonimo romanzo di Louis Bayard pubblicato nel 2006; lo scrittore, famoso per le sue narrazioni legate a personaggi celebri della storia e della letteratura, ha infatti tratteggiato in questo libro un giovane Poe, protagonista di un’indagine d’omicidio dalle tinte particolarmente fosche.
La trama del film, così come del romanzo, prende le mosse da un dato reale: a partire dal luglio del 1830, infatti, all’età di 21 anni, Edgar Allan Poe frequenta l’Accademia Militare di West Point, località sul fiume Hudson a circa 70 km a nord di New York; non è un periodo semplice nella vita del futuro scrittore, che arriva all’Accademia dopo aver già sperimentato per qualche anno la carriera di soldato al solo fine di mantenersi decentemente e che ha all’attivo alcune raccolte di poesie, assai poco considerate all’epoca, e qualche impiego saltuario come giornalista.
In questo preciso momento della biografia di E. A. Poe si innesta la pellicola: in una fredda, asettica mattina invernale il corpo di un cadetto di West Point viene rinvenuto senza vita, ma un dettaglio rende questo ritrovamento particolarmente raccapricciante, perché il cuore del giovane è stato rimosso con una modalità che richiama i rituali satanici. L’Accademia intende risolvere il caso senza suscitare troppo clamore, perciò si rivolge a un detective privato famoso per le sue abilità investigative, ma inviso per i modi poco inclini al compromesso: Augustus Landor, interpretato da Christian Bale, si scontra immediatamente con l’omertà dell’ambiente militare, così decide di farsi affiancare nelle indagini da un cadetto che ha attirato la sua attenzione, Edgar Allan Poe, a cui presta il volto Harry Melling (l’attore che nella saga cinematografica di Harry Potter ha interpretato l’odioso cugino del protagonista Dudley Dursley); Poe è un cadetto atipico, solitario e poco incline alla disciplina, che si dimostra dotato di grande acume investigativo e pare possedere un modo speciale di osservare il mondo.
Mentre le indagini assumono contorni sempre più inquietanti, con il progressivo coinvolgimento della famiglia Marquis, in particolare i coniugi Daniel (Toby Jones) e Julia (Gillian Anderson), e dell’esperto di occultismo Jean Pepe (Robert Duvall), le vittime si moltiplicano e i due protagonisti instaurano un rapporto via via più stretto, svelandosi al pubblico; pur possedendo un’indole molto diversa, Landor e Poe sono infatti accomunati da alcune dolorose ferite che riguardano la loro famiglia -la moglie e la figlia del detective sono scomparse in circostanze misteriose, mentre la madre del cadetto, pur essendo morta, è una presenza ancora tangibile nella sua vita- e che inevitabilmente li rendono più sensibili alle turbe dell’animo umano e alle loro criminose manifestazioni.
Nell’approfondire l’indole dei personaggi e le loro motivazioni il film omaggia l’opera di Poe, che solo un’analisi superficiale potrebbe definire semplicemente “horror”: lo scrittore, infatti, affonda le sue radici letterarie nel gotico e precorre il genere investigativo -si pensi alla raccolta “I delitti della Rue Morgue” del 1841, con il celebre investigatore Auguste Dupin come protagonista- e il thriller psicologico, con un’attenzione particolare rivolta ai moti dell’animo umano.
Del resto, fin dal trailer del film, il pubblico più attento potrà riconoscere le evidenti citazioni dell’opera dello scrittore, dal corvo che sembra vigilare sulle indagini, protagonista della poesia forse più famosa di Poe, “The Raven” del 1845, alla centralità del “cuore” nella narrazione, con un’evidente richiamo al racconto “The Tell-Tale Heart – Il Cuore Rivelatore”, presente anche nel titolo del film: “the pale blue eye”, l’occhio color blu pallido, infatti, viene citato dal protagonista del famoso scritto, pubblicato per la prima volta nel 1843, come causa scatenante della morte che vi viene narrata.
Le atmosfere del film, con la fotografia di Masanobu Takayanagi e le scenografie di Stefania Cella, rispecchiano in pieno la cupezza della vicenda e i tormenti dei protagonisti, con una palette di colori freddi straordinariamente efficace, che vira dall’azzurro al grigio acciaio, squarciati episodicamente da toni più caldi, come a sottolineare gli elementi narrativi di rottura; la colonna sonora composta da Howard Shore evoca la rigidità della stagione invernale e, insieme, quella della vita militare, scandita da toni marziali che, nei momenti di maggior pathos, virano in un’imponente prova d’orchestra, finalizzata a sottolineare la discesa infernale negli abissi dell’animo umano.
Nel gioco tra letteratura e cinema, il regista Scott Cooper ambisce a tratteggiare una narrazione di E. A. Poe che sia capace di incuriosire non solo il pubblico che conosce i suoi scritti, ma anche gli spettatori più giovani o meno avvezzi all’opera dello scrittore; il protagonista è un giovane outsider, un “diverso” che fatica a far emergere il proprio talento in una società chiusa, ostile, e che forse ha bisogno di un mentore che lo indirizzi a intraprendere una strada diversa: il film, come in una pagina di letteratura ben scritta, racconta i segni di quel destino che ha regalato al mondo il grande scrittore Edgar Allan Poe.