Killers of the Flower Moon: il ritorno di Martin Scorsese e la battaglia per salvare il cinema

Il regista sceglie un oscuro episodio della storia americana legato agli indiani Osage per un ritorno nelle sale che suona come una dichiarazione di guerra alla moderna industria cinematografica; nel cast Robert De Niro e Leonardo Di Caprio

Lily Gladstone e Martin Scorsese in “Killers of the Flower Moon”

Lily Gladstone e Martin Scorsese in “Killers of the Flower Moon”

Subito dopo aver letto il saggio del giornalista americano David Grann intitolato “Killers of the Flower Moon: The Osage Murders and the Birth of the FBI”, uscito nel 2017 e pubblicato in Italia con il titolo “Gli assassini della Terra Rossa: affari, petrolio, omicidi e la nascita dell’FBI. Una storia di frontiera”, Martin Scorsese ha sentito l’urgenza di girare un film che raccontasse l’inchiesta condotta da Grann e la rendesse nota al grande pubblico: la gestazione della pellicola è stata lunga, ma finalmente, a partire dal 19 ottobre, la storia degli indiani Osage che tra gli anni ‘20 e ‘30 del Novecento furono vittime di una serie di atti criminali nei territori dell’Oklahoma, arriverà nelle sale italiane e, dal giorno successivo, in quelle di tutto il mondo.

Killers of the Flower Moon” è stato proiettato in anteprima al Festival di Cannes lo scorso maggio ed è stato accolto da oltre 9 minuti di applausi: Martin Scorsese, con la collaborazione alla sceneggiatura di Eric Roth (“Forrest Gump”, “Molto forte, incredibilmente vicino”) tratteggia una pagina sconvolgente della storia americana, un epilogo per il mito della conquista del West ancor più drammatico di quanto non sia già noto, destinato a sradicare la tendenza all’assolvimento dei pionieri e dei loro discendenti, le cui storie sono state spesso raccontate, anche al cinema, con il tono appassionato di avventurose epopee.

In 3 ore e 26 minuti, “Killers of the Flower Moon” dà voce alla Nazione Osage, che negli anni successivi alla Prima Guerra Mondiale gode di un grande benessere nei territori dell’Oklahoma: proprio in queste terre, all’indomani della scoperta di numerosi giacimenti di petrolio, cominciano però a verificarsi sparizioni e morti tanto sospette da suscitare l’interesse dell’appena nata FBI, diretta da un giovane J. Edgar Hoover e ancora impreparata a gestire un caso tanto complesso.

A indagare su questi fatti inquietanti, dunque, è innanzitutto il ranger Tom White (Jesse Plemons), le cui indagini si concentrano sull’ambizioso proprietario terriero William Hale (Robert De Niro); l’uomo non ha mai nascosto le proprie mire sulle terre degli Osage, tanto che perfino suo nipote Ernest Burkhart (Leonardo Di Caprio), reduce della Grande Guerra, comprende che possa avere a che fare con le numerose morti che stanno flagellando gli Indiani. L’uomo, inoltre, di indole facilmente manipolabile, è sposato proprio con una Osage, Mollie (Lily Gladstone), di cui è profondamente innamorato; a suo tempo, tuttavia, era stato proprio lo zio William a caldeggiare il matrimonio, intravedendo in questo legame la possibilità di entrare in possesso delle terre della famiglia di Mollie, non a caso colpita pesantemente da alcune delle morti sospette di cui sono vittime gli Osage.

Scorsese mescola dramma storico e dramma familiare, intrecciandoli ai canoni narrativi del legal thriller con la cura per l’introspezione dei personaggi e per la veridicità storica che da sempre caratterizza le sue pellicole; il film, che è stato interamente girato nelle terre in cui si sono svolti i fatti con la collaborazione di consulenti culturali Osage, vede nel cast anche Brendan Fraser, nel ruolo di Hamilton, avvocato di William Hale, e John Lithgow in quello del Pubblico Ministero Leaward, tra i protagonisti del processo volto a identificare i responsabili degli omicidi; con il progressivo svelarsi della verità, gli atti criminosi assumono tutte le caratteristiche di un vero e proprio genocidio, causato da interessi politici e economici legati alla nascente industria petrolifera.

L’attesa per il film è notevole, anche a causa delle recenti dichiarazioni di Scorsese in merito ai cinecomics -già definiti in passato come dei “parchi di divertimento”, non vero “cinema” – e alla politica attuata dalle piattaforme streaming, inclini a produrre soprattutto i cosiddetti “popcorn movies”, film di puro intrattenimento privi di un reale contenuto, così come di una voce autoriale, e finalizzati alla nascita di remunerativi franchise. “L’industria del cinema, così come la conoscevo io, è finita” ha dichiarato Scorsese in una recente intervista, “Il pericolo è serio e riguarda ciò che stanno facendo alla nostra cultura. Perché ci saranno generazioni, d’ora in poi, che penseranno che i film siano solo quelli, che quello è il cinema. Anzi, già lo pensano, e questo significa che dobbiamo combattere duramente: deve partire dalla base, dagli stessi film-maker”.

È significativo, d’altra parte, che Scorsese abbia citato Christopher Nolan tra le voci più importanti del cinema moderno, nonostante la sua ascesa sia legata, in particolar modo, al successo mondiale della trilogia con protagonista Batman, uno dei più amati eroi dei fumetti: Martin Scorsese non pare, dunque, aver intrapreso una battaglia contro i cinecomics, come i media alla ricerca di titoli d’effetto hanno spesso lasciato intendere, quanto piuttosto contro un sistema che pare votato all’impoverimento del linguaggio del cinema e delle sue potenzialità. Quanto siano complessi e contraddittori i meccanismi della moderna industria cinematografica, del resto, lo dimostra il fatto che, dopo il passaggio nelle sale, “Killers of the Flower Moon” approderà sulla piattaforma Apple TV+, tra i finanziatori del film.

Exit mobile version