Sa Paschixedda: il Natale in Sardegna

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Stranamente, non si fa un gran parlare delle tradizioni sarde riguardo al Natale, come se anche noi non avessimo le nostre usanze legate al più magico periodo dell’anno.

Il Natale in Sardegna, Sa Paschixedda in campidanese, è il frutto di celebrazioni sacre e di riti legati all’epoca precristiana, che si fondono per creare un’atmosfera incantata che, solo di recente, stiamo riscoprendo. Si tratta, da sempre, di un evento speciale e particolarmente sentito, da festeggiare con le persone più care in quanto ricorrenza simbolo dell’unione familiare, di fratellanza e amicizia.

L’aspetto aggregante del Natale, era ed è molto importante perché consente alle famiglie di riunirsi dopo aver passato lunghi periodi di separazione a causa del lavoro. Pensiamo ai pastori che, un tempo, erano costretti a trascorrere lunghi periodi lontani da casa durante la transumanza invernale e che, a Natale, lasciavano i freddi rifugi di montagna per riunirsi con moglie e figli che durante il resto dell’anno dovevano vivere senza la figura paterna. Al giorno d’oggi, la situazione non è cambiata di una virgola, poiché i molti sardi che lavorano all’estero, approfittano del periodo festivo per ricongiungersi con le proprie famiglie ed i propri amici. Il Natale è considerato, quindi, l’occasione per riallacciare i rapporti familiari che inevitabilmente si allentano durante il corso dell’anno.

La funzione sociale del Natale, si fa evidente sin dalla notte della vigilia che, nel campidano, si chiama Sa nott’e xena. La notte della vigilia, è il momento in cui i nuclei familiari si riuniscono a casa del più anziano parente per condividere l’atmosfera di quella notte speciale trascorsa con le persone care, scaldate dall’allegro fuoco di un camino. Il ruolo del camino era così importante che gli è stata legata una tradizione: il ceppo natalizio. Su truncu de xena, era un grosso ceppo che, secondo l’usanza, dopo essere stato acceso la notte della vigilia, doveva restare acceso per tutto il periodo festivo affinché fosse di buon auspicio per il nuovo anno.

Un’altra importante tradizione è legata al cibo. La tavola della cena della vigilia, e soprattutto quella del pranzo di Natale, erano imbandite con ogni ben di Dio e con un’abbondanza che non era di sicuro usuale durante i normali giorni dell’anno. Il menu prevedeva, come accade anche oggi, alcune portate dalle quali non si può prescindere come, ad esempio, l’agnello arrosto per rendere grazie sia all’animale che alla terra. Inoltre, ci sono diversi dolci tipici del periodo natalizio di cui non si può fare a meno come le papassine, i sospiri, gli amaretti e le sebadas. Solitamente le famiglie benestanti, inviavano alle famiglie più povere quella che veniva chiamata Sa mandada, ovvero tutti quegli alimenti come carne, pane, formaggio, vino e dolci che le famiglie meno ricche non potevano permettersi, in maniera tale che anche chi godeva di scarse possibilità, avesse l’occasione di festeggiare un Natale degno, in abbondanza e con pietanze fuori dall’ordinario. Così viene sottolineato una volta di più il carattere aggregante di una festa come il Natale che dà grande importanza alla comunità e alla solidarietà.

Dopo la lauta cena, ci si sistemava accanto al fuoco per attendere tutti insieme l’arrivo della mezzanotte. Gli anziani raccontavano delle favole ai bambini. Gli adulti, invece, si riunivano per passare il tempo con dei giochi di società come, ad esempio, Su Barrallicu. Si tratta di un gioco nel quale, a turno, si deve far girare una trottola composta da quattro facce: se capita la faccia con la lettera T (tottu) il giocatore vince il piatto; se capita la faccia con la M (mesu) il giocatore vince la metà del piatto; con la faccia che riporta la lettera N (nudda) non succede niente; la faccia con la lettera P, invece, costringe il giocatore a riempire il piatto. La posta in gioco era composta da frutta secca e dolci tipici.

Allo scoccare della mezzanotte, l’intero nucleo familiare metteva da parte i giochi ed i racconti, e si recava insieme in chiesa per assistere alla messa di Natale: la Miss’è Puddu, la messa del primo canto del gallo. La chiesa veniva addobbata di tutto punto per essere adatta a celebrare la nascita di Gesù. Alcuni riti e credenze, sottolineano il legame con antiche usanze pre-cristiane: le donne incinte credevano che non partecipando alla messa di mezzanotte il proprio bambino sarebbe potuto nascere deforme; si credeva che i nati il giorno di Natale avessero il dono di non perdere né i denti, né i capelli durante la loro vita; si era convinti che il corpo dei nati a Natale non avrebbe subito decomposizioni dopo la morte; ulteriore convinzione era quella che i nati a Natale potessero proteggere dal male fino a sette case nel vicinato. Un’altra credenza, legata al sub-strato culturale tipico del periodo pre-cristiano, riguardava quelle donne che si credeva praticassero la magia: le streghe o sùrbile, istria, bruxia a seconda del paese in cui si raccontava la leggenda. Si pensava, infatti, che una bambina nata alla mezzanotte della notte di natale, sarebbe di certo diventata una strega. Inoltre, una strega che sentiva vicina la propria fine, era tenuta a trasmettere tutte le proprie conoscenze ed il proprio potere ad una persona di fiducia. Questo passaggio di consegne, doveva necessariamente avvenire nel periodo che corre tra Natale e l’Epifania.

Fare un dono alle persone care, è un’altra usanza che ancora oggi viene onorata. Questa tradizione, deriva dal tipico scambio di regali di buon augurio, le strenne, che si facevamo durante la celebrazione dei Saturnalia, feste in onore di Saturno che si svolgevano intorno al 23 dicembre, nell’antica Roma. Questa usanza, insieme a tante altre, è giunta sino a noi e sta a raffigurare quei sentimenti di amicizia e amore di cui il Natale ogni anno si riveste.

Ultima, ma non in ordine di importanza, è l’usanza di allestire il Presepe. Questa rappresentazione della nascita di Gesù nella mangiatoia, scaldata dal bue e dall’asinello, si fa comunemente risalire a San Francesco d’Assisi. L’usanza è radicata anche nella tradizione sarda. La consuetudine è quella di allestire presepi, anche in miniatura, che richiamano la geografia isolana, utilizzando materiali tipici del territorio come, ad esempio, il sughero o i rami di mirto, riproducendo personaggi che indossano l’abito tradizionale sardo.

Nello spirito natalizio di unione familiare, fratellanza ed amicizia, tanti auguri, bona paschixedda e bonas festas a tutti dalla redazione di S&H Magazine!

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