“Legger_ezza”, Giacomo Verri presenta il suo nuovo romanzo “Un altro candore”

Viaggio nella storia del Novecento con Un altro candore (ed. Nutrimenti), il nuovo romanzo di Giacomo Verri al centro dell’incontro con l’autore – a cura del giornalista Walter Falgio – in programma lunedì 9 novembre alle 18:30 in diretta sulla pagina Facebook del Cedac Sardegna in differita sul canale YouTube sotto le insegne di “Legger_ezza”/ il progettoper la Promozione della Lettura a cura del CeDAC giunto alla seconda edizione, che ha come tema e titolo “Discriminazioni di genere, violenza e bullismo”.

Un amore sbocciato tra due giovani impegnati sul fronte della Resistenza negli anni della Seconda guerra mondiale riaffiora dal passato, riportando alla luce antichi ricordi, ma anche pregiudizi e paure: un segreto legato a quei giorni eroici vissuti intensamente e pericolosamente, rischiando la vita in nome di un ideale, mette uno dei protagonisti a confronto con le scelte compiute in quel periodo drammatico e cruciale per il destino del Belpaese.

Un incidente stradale rompe la tranquilla routine di una coppia e da quegli istanti di ansia e timore dell’irreparabile scaturisce un’imprevista rivelazione, una sorta di confessione, con l’urgenza di una verità che non possa più essere taciuta o nascosta: la degenza in ospedale diventa l’occasione di un singolare bilancio “familiare”, dove insieme all’affetto e al rispetto reciproco, alla conquistata serenità e all’amorevole fiducia si prova a misurare anche il grado di felicità (o infelicità).

Quasi come se il tempo si fosse fermato, un uomo rivive come in un flashback i frammenti della sua esistenza, tra l’entusiasmo e la ferocia, la baldanza giovanile, rammentando quella “trasgressione” alle regole e alle convenzioni, quell’intimità tra guerrieri consentita nell’imminenza del pericolo ma non più accettata nel ritorno alla normalità. La fine della guerra coincide con un addio, un distacco doloroso ma “necessario” nell’ora della pace, quando la libertà riconquistata per un intero popolo vale forse il prezzo della rinuncia a quell’altra libertà individuale, al diritto di essere davvero se stessi invece di fingere per sé e per gli altri, soffocando le proprie inclinazioni per evitare lo scandalo.

Una decisione crudele, quasi un’autocensura del sentimento, la cui conseguenze, nel bene o nel male, coinvolgeranno i vari personaggi del romanzo: chi tradisce se stesso finisce con l’ingannare e tradire perfino coloro che gli stanno più a cuore, quando la rude schiettezza degli uomini in armi e lo spirito di avventura lasciano il posto ad un bisogno di tranquillità a costo di (re)indossare per sempre una maschera. Un improvviso bisogno di sincerità infrange il silenzio di anni e quasi a voler ricucire antichi legami a costo di risvegliare il dolore di vecchie ferite, il protagonista compie quel gesto semplice ma insieme difficilissima che fino a quel momento aveva esitato a compiere, conscio della sua irreparabilità: ristabilire i contatti, far incrociare di nuovo due vite parallele, significa anche fare i conti con quel che si è stati – e si è diventati.

Un altro candore” ripercorre l’epopea novecentesca della Resistenza, con una chiave di lettura contemporanea, lasciando emergere caratteri e personalità di donne e uomini impegnati sul fronte di una guerra civile e i loro destini, intrecciati in quei mesi duri e terribili, in cui nascevano passioni e amicizie, e di nuovo separati, secondo traiettorie imprevedibili.

Cinquant’anni dopo Claudio Bonetti si rimette sulle tracce di un amore impossibile, e a quella pagina di storia per qualcuno (quasi) dimenticata appartengono anche le vicende di «Sebastiano, che da bambino prova il brivido di uccidere, poi cresce, tradisce e controlla che gli angeli dormano nel suo armadio» e Cristina, partita in cerca di fortuna, costretta a fare i conti con il passato al suo ritorno, mentre negli anni della pace, tanto agognata e finalmente ottenuta, con sangue e sacrifici, le contraddizioni del presente contrastano con le illusioni perdute della giovinezza.

Giacomo Verri (classe 1978) insegnante e scrittore, autore di “Partigiano Inverno” (finalista al Premio Calvino 2011) e dei “Racconti partigiani”, in “Un altro candore” si confronta ancora una volta con la Resistenza e con alcuni dei nodi irrisolti della storia italiana del Novecento. «La passione per la Resistenza nasce da alcune mie vicende personali» – rivela l’autore: «alle elementari ho avuto come maestra Nadia Moscatelli, una delle figlie del celebre comandante partigiano Cino Moscatelli. Da lì è nata la curiosità di saperne di più, poi sono venute le letture, le interviste, le ricerche».

L’ispirazione per il romanzo è stata (quasi) casuale – spiega Giacomo Verri: «lo spunto è venuto da un racconto che scrissi per la rivista dell’Istituto storico di Bergamo. Non so come, ma l’immagine che ne venne fuori fu quella di una coppia di partigiani omosessuali. Mi apparve da subito così fresca rispetto alle stereotipate rappresentazioni della Resistenza…». Un’ipotesi in fondo non tanto irrealista e straniante, su un amore in tempo di guerra, divenuta la trama di un romanzo: «le storie si raccontano prima di tutto perché si pensa possano essere belle, interessanti, utili» – sottolinea l’autore.Un altro candore” permette attraverso una vicenda immaginata ma verosimile di analizzare da una prospettiva inusuale la temperie culturale, politica e sociale dell’Italia nella prima metà del Novecento, soffermandosi su un periodo cruciale del ventesimo secolo ma anche di “fare il punto” sulla «percezione odierna dell’omosessualità nella storia della Resistenza – per misurarne la temperatura e le reazioni nel pubblico» – afferma Giacomo Verri. «Il tema penso sia molto attuale, poiché c’è ancora parecchia strada da fare. Rileggere il passato con la sensibilità contemporanea serve non tanto a capire meglio qualcosa del passato, quanto a capire meglio qualcosa del presente, serve a capire quale strada sia stata imboccata e perché, e forse anche a comprendere dove stiamo andando».

Un aneddoto – curioso ma per certi versi emblematico – dimostra come a dispetto del fatto che siamo ormai nel terzo millennio certi pregiudizi e certi schemi mentali siano ancora profondamente radicati nel comune sentire: «quando è stato il momento di scegliere l’immagine di copertina – racconta Giacomo Verri era venuta fuori la possibilità di mettere una foto di una coppia di partigiani delle mie zone. Partigiani non omosessuali. Però poi ho dovuto virare altrove perché mi è stato detto che ci sarebbe stata la possibilità che quei partigiani – ora novantenni ma ancora in forze – sarebbero potuti venire a cercarmi col fucile… si fa per dire, ma si capisce quale sarebbe potuta essere la reazione…».

«Nel romanzo ho voluto indagare le libertà potenziali che la Resistenza aveva prospettato e che non sempre gli anni postbellici hanno saputo realizzare» – afferma Verri. «In Un altro candore non tratto tanto delle libertà politiche e sociali per le quali i combattenti avevano lottato, ma mi soffermo piuttosto su quelle libertà individuali che non erano il primo obiettivo della Resistenza e con queste libertà secondarie – prima fra tutte l’omosessualità – occorre fare i conti, oggi».

Il nuovo romanzo segna un’evoluzione, se non una mutazione stilistica, nella cifra di Giacomo Verri: «Lo stile è sempre stato un mio grattacapo. Nel mio primo romanzo, la lingua è addirittura un personaggio del romanzo stesso, una lingua labirintica, niagarica, espressionistica, piena di neologismi e di lessico della tradizione. In Un altro candore, invece, tutto è cambiato: la lingua è, almeno negli intenti, limpida, essenziale, specialmente nelle scene ambientate negli anni Novanta, quasi ridotta all’osso. Lo stile diventa così il correlativo oggettivo di una ricerca, quella dell’essenziale della vita». Tra i suoi riferimenti letterari, lo scrittore piemontese ricorda l’autore de “Il nome della rosa”: «Il primo maestro è stato Umberto Eco, poi Fenoglio, poi gli americani. Alla scrittura sono arrivato per gioco, per scommessa con me stesso. Come sfida per vedere che cosa riuscivo a tirare fuori da alcune storie della mia valle, la Valsesia».

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