Come è noto, le leggende e i racconti popolari sardi abbondano di esseri fantastici, protagonisti di fiabe tramandate oralmente e in cui si manifesta un elevato contenuto simbolico. In esse è facile scorgere le tracce delle insicurezze derivanti dalle dure condizioni di vita tipiche di una terra a economia agro-pastorale in cui, in passato, carestia, povertà, febbri malariche attanagliavano la popolazione. Si intravvede inoltre qualcosa di più: un sostrato di credenze magiche sopravvissuto e confluito nella più recente cultura religiosa cristiano-cattolica che ne demonizzò gli emblemi pagani legati ai cicli naturali, spesso capovolgendone il significato.
Sa surbile è una strega-vampiro le cui caratteristiche salienti (metamorfosi, unzione, volo, infanticidio e vampirismo) possono ben confluire nell’“identikit” stregonesco andato definendosi nei trattati degli inquisitori (dal “Canon episcopi” sino al più famoso “Malleus Maleficarum”) tra medioevo ed età moderna. Quest’ultima fu scenario di una dura soppressione e persecuzione dei culti popolari e di un irrigidimento dottrinario che culminò nella grande caccia alle streghe attuata tanto dalla chiesa riformata quanto in seno al mondo cattolico negli anni contemporanei e immediatamente successivi al concilio di Trento. Bersaglio delle accuse di stregoneria erano soprattutto persone di sesso femminile che, specialmente se sole o anziane (oppure depositarie degli antichi saperi della medicina popolare), erano più esposte ai rischi della marginalizzazione sul piano sociale e più facilmente imputabili di oscuri complotti col demonio.
Nella descrizione di sa surbile, così come è tramandata dai contos della tradizione orale, sono riscontrabili le caratteristiche che rendevano taluni individui “sospettabili” agli occhi degli inquisitori: le donne predisposte a trasformarsi di notte nei demoniaci esseri e a penetrare nelle case sotto forma di mosche (da cui la precauzione delle puerpere di tappare il buco della serratura della stanza del bimbo con della cera) o di gatte per succhiare il sangue ai neonati vengono descritte come brutte, repellenti e malvagie già nelle loro sembianze “diurne”, oppure sono persone percepite come misteriose, estranee alla comunità.
A volte, invece, quasi a sottolineare come il “capro espiatorio” da cui epurare il nucleo sociale possa celarsi sotto gli insospettabili panni di un familiare (in genere, come nella leggenda della “nonna surbile”, un’anziana) sono figure apparentemente positive a trasformarsi in vampiro. In talune circostanze, esse sono indotte alla metamorfosi per effetto di incantesimo o maledizione: in preda a uno stato catalettico – probabile reminiscenza della trance propria dei culti sciamanici – il loro corpo astrale, agendo indipendentemente da quello fisico, compie misfatti di cui esse sono ignare.
Tanto in un caso quanto nell’altro, i rimedi per prevenire le morti in culla (un tempo molto comuni a causa di problemi connessi alla denutrizione e vissute come “inspiegabili” e quindi particolarmente traumatiche) sono fra loro simili: la surbile sa contare solo fino a tre o, secondo un’altra versione della leggenda, fino a sette (numero più volte richiamato: condizione peculiare di chi possiede o sviluppa una “seconda identità demoniaca” è l’essere ultima di sette figlie femmine).
Se dunque si pone all’ingresso un pettine o una falce dentellata oppure una scopa rivolta all’insù, la strega non resisterà alla tentazione di soffermarsi a contare i dentelli dei primi o i fili della ramazza sin dove può per poi essere costretta a ricominciare intrattenendosi in quest’attività sino all’alba, ora in cui l’arrivo della luce la obbligherà a fuggire (la conta delle streghe è un elemento ricorrente nei racconti popolari italiani).
Il mito delle surbiles ha numerosi punti di contatto e parzialmente si fonde con quello delle cogas, le streghe sarde per antonomasia.