Stefano Oppo si racconta: il lavoro e i sacrifici dietro una medaglia olimpica

Il bronzo nel due di coppia pesi leggeri a Tokyo è consacrazione del talento e compenso per gli sforzi di una vita

Le acque ferme del lago come specchio di un carattere pacato e umile, forgiato dalla fatica degli allenamenti e dai sacrifici di una vita, fatti per accarezzare prima e afferrare poi il sogno di una medaglia olimpica: il bronzo nel due di coppia pesi leggeri a Tokyo, consacrazione del talento e compenso per gli sforzi fatti sin da bambino.

La vita di Stefano corre veloce sul pelo dell’acqua come la sua barca, sotto un sole folgorante, metafora delle sue medaglie, ma anche sotto le intemperie che piovono sotto forma di dubbi e fragilità, riconosciute e concesse a sé stesso in quanto uomo ancor prima che atleta. Il valore della sua storia sta qui, nelle difficoltà e nelle fatiche messe alle spalle una vogata dopo l’altra, spostando il proprio limite sempre un po’ più avanti fino all’emozione di diventare campione, senza tuttavia perdere la semplicità.

Partiamo da Rio 2016, 4° posto finale nel quattro senza pesi leggeri. Questo bronzo di Tokyo è stato costruito a partire da quella medaglia sfiorata?
È stata la mia prima Olimpiade e mi aspettavo una gara come le altre, invece lì ho trovato un clima diverso per la tensione che si respirava e la concentrazione degli avversari. Ma mi sono accorto anche che i primi ad essere diversi eravamo noi perché abbiamo fatto delle gare fantastiche, al di sopra delle nostre aspettative, arrivando a sfiorare il podio. È stata una grande soddisfazione, ma anche una delusione esserci arrivato così vicino. Quindi penso che Rio mi abbia dato la consapevolezza di poter arrivare alla medaglia.

Quali erano le aspettative prima della finale di Tokyo?
Io e Pietro (Pietro Ruta, compagno nel doppio N.d.R.) venivamo da un percorso di 5 anni nei quali siamo sempre saliti sul podio, per cui eravamo abbastanza convinti di poterci ripetere alle Olimpiadi. L’unica volta in cui non siamo riusciti è stata la penultima Coppa del Mondo dove siamo arrivati quarti e questo ci ha fatto capire come arrivarci non fosse così scontato e che avremmo dovuto lavorare di più durante gli allenamenti, e così abbiamo fatto.

Proprio durante i Giochi è scoppiato il caso Simone Biles, la ginnasta americana ritiratasi da alcune competizioni per la troppa pressione e l’ansia da prestazione. Secondo te l’aspetto psicologico degli atleti nello sport ad alti livelli è trascurato?
Penso che casi come questo siano molto utili perché la maggior parte degli atleti ha bisogno di un supporto psicologico. Ti ritrovi a vivere situazioni molto stressanti, dagli allenamenti estenuanti, alle gare importanti, agli infortuni. Talvolta la pressione non viene solo da fuori ma anche da te stesso. Al di là dell’essere atleti siamo comunque persone normali, e affrontare tutti questi aspetti non è semplice.

Tu hai mai sentito l’esigenza di chiedere un aiuto psicologico?
Dopo il primo lockdown ho vissuto un momento difficile perché essendo rimandate le Olimpiadi pensavo allo stress di un altro anno di preparazione. Ho pensato di non farcela, invece poi, grazie al supporto di Camilla (la fidanzata) ed ai risultati delle gare, il momento è passato. Comunque abbiamo nella federazione uno psicologo che ci aiuta, non ne ho mai avuto una grossa esigenza, però ogni tanto farci due chiacchiere può darti tranquillità.

A proposito di lockdown, come hai vissuto quel momento e come ha influito sui tuoi allenamenti?
Ho passato quel periodo qua ad Oristano e sono riuscito ad allenarmi facendomi a casa una piccola palestra, l’unica mancanza è stata l’impossibilità di uscire in barca. Chiaramente da un lato è stata una situazione frustrante ma dall’altro anche rilassante perché non avevo la possibilità di stare a lungo a casa dal 2010, quando sono partito per frequentare il college nazionale.

Quanti sacrifici ci sono dietro una medaglia olimpica? Sin da ragazzo hai dovuto coniugare lo sport innanzitutto alla scuola, ma anche agli amici, alle serate. Hai mai dovuto rinunciare a qualcosa?
A 15 anni sono entrato nel college nazionale a Piediluco, un paesino sperduto tra le montagne dell’Umbria. Lì praticamente c’è solo il lago e fin dall’inizio abbiamo seguito allenamenti intensissimi, compresi quelli la mattina presto, anche la domenica, con la temperatura sotto lo zero in inverno. Dopo la sessione andavamo a scuola a Terni, che è a mezz’ora di pullman, e al rientro ci aspettava la seconda sessione d’allenamento fino alle sei e mezza. Nel resto del tempo dovevo studiare, e provare ad organizzarmi per frequentare i miei compagni di scuola e gli amici di Terni, ma è stato davvero complicato.

In questi anni ho dovuto rinunciare a tante cose e fare diversi sacrifici, in particolare star lontano dai miei familiari e dalle persone care è stato quello che mi è pesato di più. Però sono contento perché il mio sport, che è la mia passione, è diventato il mio lavoro e mi ha dato tante soddisfazioni che culminano in questa medaglia. Quindi i sacrifici sono stati assolutamente ripagati.

Questo bronzo lo consideri un punto d’arrivo? O un punto di partenza per una medaglia più pesante a Parigi 2024?
Lo considero un traguardo raggiunto che mi ero messo in testa da Rio, per cui se me l’avessi chiesto un mese fa ti avrei detto che poi avrei anche potuto smettere. Ora la penso diversamente, punterò a Parigi con la voglia di migliorare ma anche con la leggerezza di chi si è già preso una fantastica soddisfazione.

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