La sposa angelica di Elisabetta Delogu, bridal designer sarda, è la protagonista della cover di S&H Magazine di febbraio

Lo stile di Elisabetta Delogu è inconfondibile, ogni elemento è un pezzo unico realizzato come un’opera d’arte: delicate trine fatte a mano, drappi di tulle anticati con tinte naturali, broccati, sete selvagge, vengono assemblati come collage su bustini dall’identità unica, autentica, non patinata. Gli abiti che nascono dalle sue mani – e dal cuore – sono espressione del suo gusto romantico, della sua crescita creativa arricchita dal susseguirsi di esperienze estremamente diverse: scultura, intaglio, restauro, pittura, arrivando finalmente allo sfogo della passione per tessuti e cucito e l’amore per la sperimentazione.

Il passato non dev’essere dimenticato, ma dev’essere fonte di ispirazione”. Molti artisti trovano spunto guardandosi indietro, ma l’ulteriore merito di Elisabetta è il voltarsi soltanto per un attimo, respirare la moda degli ultimi tre secoli rielaborando antiche tecniche e incastonare il tutto in una sua personale visione ampia e contemporanea.

Elisabetta Delogu

Le origini misteriose dei Mamuthones

Foto AdobeStock | Giuma

Ogni saltello è seguito dal suono metallico dei pesanti campanacci, scossi con un colpo di spalla. Ogni atterraggio al suolo è ritmato, pesante, quasi animalesco. Così si muovono i Mamuthones, le maschere più famose del Carnevale sardo. Il loro costume è costituito da una maschera chiamata “visera” e da una veste di pelli chiamata “mastruca”. La visera è di legno nero e lucido e ha caratteri del viso molto marcati. La mastruca è fatta di pelle di pecora nera e la schiena del Mamuthone è ricoperta da “sa carriga” (una serie di campanacci di varie dimensioni). Ma cosa si nasconde dietro queste Maschere?
Ciò di cui vogliamo parlare non riguarda il “sotto le vesti”, quindi gli attori che si celano tra pelli e campanacci, ma ciò che i Mamuthones rappresentano veramente e il significato del rito che li vede protagonisti.

Sara Montisci: la ragazza del fico d’India

Conosciamo tutti il fico d’India per i suoi frutti da consumare freschi o trasformati in acquavite ma non tutti sanno che questa pianta, un tempo usata per delimitare i confini, sia in realtà una delle specie aliene invasive, arrivata in Sardegna in seguito alla scoperta dell’America. Considerato come un prodotto di nicchia, in questi ultimi anni si è reso protagonista di numerose sperimentazioni sia per la sua commercializzazione che per l’utilizzo.
Tra le varie ipotesi, una si distingue per originalità e innovazione: la creazione di gioielli partendo dalla fibra essiccata delle sue pale.

La resolza pattadese

Foto Eric Eggly

Dalle mani di abili artigiani nasce il famoso coltello tipico della Sardegna. Oltre 135 anni di storia e una tradizione di famiglia che si tramanda da generazioni hanno portato alla diffusione e al successo di uno dei coltelli artigianali tipici della Sardegna, la resolza di Pattada, un coltello a serramanico con la lama a forma di foglia.
È Tore Fogarizzu, maestro artigiano appartenente alla quarta e ultima generazione di coltellinai della famiglia insieme al fratello Gianmario, a portare avanti questa antica arte nella bottega di suo padre Boiteddu, coltellinaio pluripremiato a livello internazionale.


ed inoltre

Il massiccio del Monte Lerno. Un luogo incantato del Goceano nel Comune di Pattada;

Progetto “Nascere a Sassari”. Ansia da parto? Le ostetriche rispondono;

Tommy ASMR. Lo youtuber dodicenne di Sassari che fa rilassare e dormire oltre 27mila persone;

Su Para e Sa Mongia. La leggenda sarda di San Valentino;

Ad Alghero il museo dedicato ad Antoine De Saint-Exupéry. Nella suggestiva località di Porto Conte, il MASE racconta la vita e le opere di uno degli scrittori più famosi del ‘900;

ReiThera: alla scoperta del vaccino italiano contro il Covid-19 ormai in fase di sperimentazione avanzata;

Libri: “Trap Game”, la musica che unisce i popoli. I sei comandamenti del nuovo hip hop nel libro edito da Hoepli;

Il dentista risponde: l’implantologia dentale. Recuperare il sorriso e l’autostima.

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