Ritratti, caricature e illustrazioni: l’eredità artistica di Tarquinio Sini

Dalle vignette satiriche alle copertine di riviste, la carriera di uno dei più grandi artisti sardi del XX secolo

Tarquinio Sini, Cagliari stracittà (1933), tempera su carta, cm 26,7 x 47,7. 📷 Ilisso Edizioni - Nuoro

Fin dagli albori, la specie umana ha saputo servirsi dell’immagine per farsi comprendere, ma anche per lasciare impresso un proprio messaggio ed esprimere un certo grado di creatività. Con il passare del tempo, tale dinamica ha dato vita a diverse attività, tra cui l’illustrazione, la grafica e il cosiddetto “caricaturismo”, ossia la tendenza a rappresentare ironicamente specifiche qualità di un soggetto. Tutte abilità visuali che anche l’artista Tarquinio Sini dimostrò ampiamente di possedere e mise in campo senza remore, attraverso una carriera più che ventennale.

Nato nel 1891 da Vincenzo Sini e Maria Peppa Falzoi, Tarquinio mosse i primi passi a Sassari, spostandosi poi con la famiglia a Cagliari nei primi del ‘900.Al tempo vivace attrattiva per personalità artistico-imprenditoriali, il capoluogo sardo gli permise di frequentare una scuola di disegno e di fare le prime significative esperienze artistiche, da alcune vignette satiriche per il foglio “Le donne, i cavalier, l’arme, gli amori” alla mostra di caricature alla passeggiata coperta del Bastione Saint-Remy.

Attività che furono un assaggio del futuro per Sini, il quale nel 1910 iniziò a studiare al Politecnico di Torino. Il bisogno di cambiare aria – unito al mancato rinnovo del sostegno pubblico per la scuola di disegno – lo condusse infatti alla città piemontese, dove l’ex compagno d’accademia Giovanni Manca lo introdusse all’ambiente artistico locale. Tra tutti i contatti, il giornale umoristico “Il Pasquino” diventò un riferimento per Tarquinio, che mantenne la collaborazione per oltre 4 anni e arrivò anche ad assumere il ruolo di caporedattore, in un prolifico rapporto professionale. Copertine, vignette e diverse componenti iconografiche videro la luce grazie al suo stile unico, caratterizzato da corsivi, ornamenti e contorni marcati.

Un potenziale artistico posseduto da Sini fin dagli inizi del suo percorso, ma che conobbe un’evoluzione culminata con la nomina a direttore de “Il Pasquino” nel 1912.Da un modo di fare che doveva adattarsi a una precisa linea editoriale, – come accadde con le prime vignette satiriche – nel nuovo ruolo il suo stile acquisì infatti più libertà, con illustrazioni più sintetiche e marcate firmate “Falzoy”, suo nuovo pseudonimo ispirato al cognome materno.

Ormai sua seconda casa, a Torino Tarquinio fu anche sceneggiatore, soggettista e regista per la Savoia Film, idillio che però durò poco per via dello scoppio della Prima Guerra Mondiale e la conseguente chiusura delle case cinematografiche. Una situazione complicata che lo portò a spostarsi a Parigi e poi in Umbria dove continuò come vignettista, lavorando nel 1915 con la rivista “Numero”, curando una mostra a Genova e alcuni contenuti per il settimanale “Il mondo”.

Dopo la guerra fu la volta di Roma, dove poté relazionarsi con artisti sardi lì emigrati – tra cui Mario Mossa De Murtas, Melchiorre Melis, Luigi Caldanzano e Giuseppe Biasi – e mostrare ancora il proprio talento, prima nel settore cinematografico e teatrale per poi passare con più libertà espressiva alla pubblicità.

Tanti spostamenti, che a metà degli anni ‘20 del ‘900 ricondussero il geniale artista alla terra natale. Nonostante i rapporti ininterrotti con Cagliari tramite collaborazioni editoriali a distanza, una volta tornato egli si buttò a capofitto nell’illustrazione di periodici, della rivista “Mediterranea” nel 1927 – appartenente ad Antonio Putzolu – e della “Guida di Cagliari” nel 1928, dove introdusse abbellimenti ispirati a tradizionali motivi di tappeti sardi. Legata alle proprie origini, tale caratteristica entrò gradualmente a far parte del suo stile e lo accompagnò nell’ultimo periodo di attività, durante il quale diede vita a innumerevoli progetti come l’esposizione “Contrasti” del 1927. Comprendente 25 tempere basate sulla contrapposizione tra tradizione sarda e modernità cittadina, la raccolta fu ispirazione anche per successive opere simili, riunite in una serie pubblicata al rientro a Cagliari.

Instancabile mente, i viaggi dell’illustratore terminarono infatti solo nel 1933, quando dopo un soggiorno milanese tornò stabilmente nel capoluogo sardo per continuare progetti avviati e coltivarne di nuovi. Oltre alla già consolidata collaborazione con la rivista “La Lampada”, egli si occupò di allestire esposizioni, fiere e scenografie tra cui “La contadina astuta, o Livietta e Tracollo” di Giovanni Battista Pergolesi in scena nel ‘37.

Morì il 17 febbraio 1943 sotto i bombardamenti di Cagliari, nel pieno della sua maturità artistica e personale. Un’esistenza alla quale il futuro fu negato dalle circostanze, ma che lasciò dietro sé spunti stimolanti, prolifici e all’insegna della creatività.

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