Cristina Dore, danza senza confini e sogni d’oriente

Foto Domenico Rizzo

Sensualità, armonia nei movimenti, ritmo: questi sono solo alcuni degli elementi di una delle danze più antiche del mondo, quella orientale. Meglio conosciuta come Danza del ventre, è impossibile non restare incantati dalla sinuosità e dall’eleganza delle sue movenze: uno spettacolo ancestrale, che ci riporta a una dimensione primigenia, eppure moderno nell’accogliere influenze da altri generi e stili.

Per parlarne, ci siamo affidati alle parole e all’aggraziata figura di Cristina Dore, danzatrice professionista.

Appena rientrata da una lunga tournée in Cina con la compagnia internazionale Bellydance Evolution, la giovane ci ha raccontato i momenti salienti del suo percorso attraverso anni di pratica e perfezionamento.

Sassarese, classe ‘85, da sempre innamorata della musica, sin da piccola era attratta dalle sonorità etniche di gusto orientale. Il ballo è sempre stato per Cristina la modalità d’espressione più idonea e, dopo aver praticato danza moderna e hip hop, nel 2002 s’innamora della danza del ventre: rintraccia in essa ciò che andava cercando da tempo.

È l’inizio di un lungo periodo di studio: dalle prime lezioni a Cagliari e poi a Sassari, la sua dedizione la convince a recarsi ai grandi festival internazionali in giro per lo stivale, dove può confrontarsi coi migliori maestri e comprendere sempre più a fondo le sfumature di una danza che è il riflesso di una cultura antica. Dal 2005, Cristina si reca periodicamente a Torino per perfezionarsi con Aziza Abdul Ridha ma i suoi viaggi la portano anche altrove: a Roma, in Sicilia, all’estero, ovunque vi sia un workshop che le consenta di approfondire questa affascinante disciplina. Sempre dallo stesso anno tiene dei corsi grazie ai quali ha avuto modo di trasmettere la sua passione a tanti allievi e, con suo grande orgoglio, di formare altre insegnanti.

I benefici delle danza del ventre sono tantissimi e si riflettono sia sul corpo che sulla mente: spinge chi la pratica ad accettarsi, a vedersi in modo positivo sia fisicamente che spiritualmente.

Abbiamo rivolto alla nostra protagonista di agosto qualche quesito sulla sua ultima elettrizzante esperienza in Cina, sul significato di questa danza e sui suoi progetti futuri.

Si è da poco conclusa la tua lunga tournée con la prestigiosa compagnia Bellydance Evolution: ce ne vuoi parlare?

Sono tornata in Sardegna dopo un tour di due mesi e mezzo in Cina con una delle più prestigiose compagnie internazionali, guidata da uno dei miei idoli assoluti: Jillina, ballerina e insegnante di fama mondiale. Un’esperienza che ha avuto inizio poco più di un anno fa, quando ho deciso di partecipare a un’audizione per entrare a far parte del cast dello spettacolo più bello che abbia mai visto: una rivisitazione di Alice in Wonderland. L’aspetto innovativo della Bellydance Evolution è che le audizioni si svolgono in ogni parte del globo: la composizione del cast è la diretta espressione dell’assunto che la danza non conosce confini. Entrare a farne parte ha significato realizzare un sogno: ho ballato per la prima volta all’interno di Alice in Wonderland nel maggio 2015, a Johannesburg, in Sudafrica. Un grande traguardo anche se l’impatto iniziale è stato un po’ traumatico: ho dovuto imparare tredici coreografie in pochissimo tempo e per le prove “dal vivo” ho incontrato gli altri ballerini soltanto sei giorni prima dello spettacolo, giorni trascorsi a provare dalla mattina alla sera. Inoltre mi è stato affidato un assolo e per giunta con un accessorio che non avevo mai usato, il veil poi. Interpretavo le lacrime di Alice che crescono fino a diventare un mare che la sommerge ed ero molto nervosa: Jillina era lì a guardarmi e provavo assieme a persone che non conoscevo. È stata senza dubbio una grande prova e in quel breve periodo sono avvenuti molti cambiamenti in me.

Non avevo mai danzato in uno spettacolo diretto da altri, mi ero sempre esibita col mio corpo di ballo, Raqshardan (da Raqs, che significa “danza”, e Shardan, in riferimento alla Sardegna), ideando le coreografie, scegliendo personalmente musiche e costumi. Ho dunque cercato di apprendere quanto più potevo e, dopo Johannesburg, ho fatto un’altra audizione per danzare ancora col cast. Ho potuto reinterpretare il medesimo personaggio nella performance svoltasi a Città del Messico: il sogno si ripeteva e questa volta mi sentivo più a mio agio grazie alla precedente esperienza sudafricana.

Poi, la proposta per la Cina: io e altre ragazze siamo state contattate in privato, ci è stata richiesta disponibilità per una tournée che avrebbe coperto 28 importanti centri del Paese per un totale di 35 spettacoli. La responsabilità era maggiore perché eravamo state selezionate per rappresentare Jillina e il suo progetto: mi sono sentita molto orgogliosa, ero l’unica nel cast a rappresentare la mia terra durante questo grande tour. Ovviamente i ritmi erano serrati ma, appena avevo cinque minuti per me, guardavo la platea e provavo un’enorme gratitudine, sapevo di dover dare il massimo. E questo significa mettere in gioco non solo le competenze acquisite ma tutto quello che sei: desideravo che ciò che ho sempre cercato di trasmettere danzando giungesse agli spettatori.

La danza come linguaggio: ci puoi raccontare qualcosa di più sul modo in cui questo bellissimo ballo ci parla?

Grazie a certi stili della danza orientale è possibile conoscersi più a fondo, liberarsi dalla tensione convertendola in qualcosa di positivo, quasi una forma di meditazione dinamica. C’è un particolare stile, il baladi, che è completamente basato sull’improvvisazione: metti in scena ciò che hai dentro e in questo modo entri in contatto con parti di te che non sapevi nemmeno esistessero.

Non a caso la musica e le danze orientali vengono impiegate anche nella musicoterapia: esse hanno effetti positivi tanto sulla fisicità che sull’emotività dell’individuo.

Quali sono i tuoi progetti futuri?

Per tutta l’estate sarò impegnata con esibizioni e con i corsi intensivi della mia scuola di danza. Vorrei continuare a danzare per la Bellydance Evolution e partecipare a nuove audizioni. Un sogno sarebbe quello di poter aprire una scuola tutta mia in cui insegnare, anche uno spazio semplice: sono convinta che il grande valore risieda nell’allievo che, avvicinandosi a questo tipo di danza, scopre una parte di sé che non conosceva.

Ringraziamo Cristina per la disponibilità e diamo appuntamento ai lettori al prossimo numero.

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