Che il problema del randagismo in Sardegna costituisca, già da tempo, un’emergenza non è certo una novità: in aumento del 30-40% negli ultimi anni e causa di una spesa diretta per le pubbliche amministrazioni che complessivamente ammonta a otto milioni e che raddoppia quando si considerano i costi indiretti. Purtroppo, fino a ora, le strategie di contenimento del fenomeno, dalle campagne di comunicazione dirette a promuovere un’adozione responsabile sino a una corretta e maggiore informazione riguardo alla sterilizzazione canina (spesso considerata contro natura, troppo costosa o crudele) sono mancate.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: rifugi sovraffollati che non riescono a far fronte alle spese veterinarie degli ospiti (si consideri che moltissimi ex-randagi restano in canile fino alla fine della loro vita, senza contare gli animali che soffrono di patologie croniche o quelli che arrivano in uno stato fisico gravemente debilitato) né a contrapporre al continuo flusso di entrate un numero sufficiente di risorse umane. Non solo, alle cucciolate che vengono quotidianamente abbandonate sulla loro soglia si aggiungono altre cucciolate, quelle in regalo le cui foto vediamo nei quotidiani annunci postati sui social network. E se questo a prima vista può sembrare un fenomeno del tutto innocuo, incide gravemente sull’aumento del randagismo. Anzitutto perché, in una situazione in cui le strutture preposte ad accogliere i randagi sono costrette a ospitarne un numero enormemente superiore rispetto alla loro effettiva capacità, far riprodurre indiscriminatamente il cane di casa e far sì che una persona potenzialmente interessata ad accogliere un nuovo animale domestico nella propria vita lo riceva da un privato, significa privare uno dei “residenti” in canile della possibilità di uscire dalla gabbia a cui è condannato e di entrare in una nuova famiglia.
Secondariamente, le adozioni “non controllate” (e cioè non guidate dal consiglio di un esperto e senza controlli di pre e post-affido) frequentemente hanno un triste epilogo: il desiderio di adottare un cane svanisce all’affacciarsi dei primi problemi, appena ci si accorge che è una scelta in grado di cambiare completamente l’esistenza di chi la opera, oppure quando, per questioni personali o professionali, è necessario trasferirsi o passare a ritmi di vita non compatibili con la gestione di un animale la cui prima e maggiore necessità, è sempre bene rammentarlo, non è – come spesso si è indotti a credere – lo spazio, ma il tempo (tempo per le passeggiate, tempo per l’educazione, tempo per le cure ordinarie e straordinarie, tempo per il gioco). E così ci si sbarazza di Fido, che finisce di mano in mano e, spesso, sulla strada. Se poi l’animale si riproduce, la problematica si moltiplicherà per il numero di cuccioli e così via, all’infinito.
Fortunatamente, un primo e positivo cambiamento sembra essere stato avviato dalla Regione Sardegna con l’assegnazione di fondi, stanziati nella Finanziaria 2017, destinati alle associazioni di volontariato per la sterilizzazione di cani di proprietà. I contributi, fino a un massimo di 5000 euro per ogni richiedente, sono stati erogati a quaranta associazioni, con sedi in tutta l’isola, per la sterilizzazione di cani di sesso femminile di proprietà di privati cittadini con Isee pari o inferiore ai ventimila euro e dei cani femmina adibiti alla custodia di greggi, appartenenti a allevatori regolarmente registrati, a prescindere dall’Isee. I volontari si sono già attivati e hanno provveduto a far sterilizzare numerosi animali di proprietà, nella speranza che iniziative di questo genere possano divenire continuative.
Un secondo passo avanti è costituito dalla campagna di comunicazione per la prevenzione del randagismo inaugurata dalla regione Sardegna, “Se lo ami mettigli il microchip” insieme alla nuova Banca Dati Regionale degli Animali da Affezione, online dal 6 giugno. I dati presenti in quest’ultima sono d’importanza cruciale in quanto permettono di conoscere la consistenza e la distribuzione della popolazione regionale degli animali d’affezione e dunque di predisporre interventi appropriati di prevenzione dell’abbandono, tutela sanitaria e protezione degli animali e consentono inoltre un adeguato monitoraggio dei risultati.