La tradizione tessile di Sarule, un’arte che si intreccia nei secoli

Un’antica arte ancora oggi apprezzata, tramandata dalle tessitrici del paese barbaricino

La signora Speranza Ladu lavora alla tessitura del tappeto, Sarule. 📷 Sardegna Digital Library

La signora Speranza Ladu lavora alla tessitura del tappeto, Sarule. 📷 Sardegna Digital Library

Protetto da una triade di cime granitiche, il comune nuorese di Sarule sorge riservato nel cuore della Barbagia di Ollolai, storica regione della Sardegna centrale. Patria del compositore Badore Sini, – autore della poesia che ispirò la canzone “Non potho reposare” – il piccolo centro brilla di una fama all’insegna di eccellenti produzioni casearie, numerosi oliveti, ma soprattutto di una sentita pratica tessile. Una tradizione giunta fino ai nostri giorni tramite pezzi colorati e unici, che si sono resi portavoce della storia dell’artigianato sarulese.

Imbevuta di memoria, la tradizione tessile di Sarule rivestì centrale importanza nel corso del ‘900, ma in realtà le sue origini sono da ricercare molto più indietro nel tempo. Al XIX secolo d.C. risalirebbe difatti un resoconto dell’abate Vittorio Angius che evidenzia lo zelo femminile nella lavorazione della lana, da cui si ricavavano manufatti come panni per uso personale, bisacce, sacchi e “sa burra”, ossia una grande coperta locale. Frutto di sapienti mani donata al primogenito per il fidanzamento, essa assurgeva a un ruolo esplicitamente simbolico e in caso di esito negativo del matrimonio veniva divisa a metà. Massima incarnazione di un talento artigianale unico, “sa burra” era inoltre considerata un prodotto prezioso al punto da venir barattata con derrate alimentari. Un’abitudine che permise la diffusione delle ampie coperte e che portò negli anni ’30 del ‘900 a una vera e propria prova pratica volta a mostrare l’abilità delle donne sarulesi.

L’occasione dimostrativa fu solo un assaggio di ciò che avvenne nel resto del secolo, quando la produzione tessile divenne più sistematica con la figura dello scultore e ceramista sassarese Eugenio Tavolara. Sostenitore del bisogno di tutelare la cultura isolana e farla conoscere anche fuori dal confine sardo, negli anni ‘50 egli fondò l’Istituto Sardo Organizzazione Lavoro Artigiano (I.S.O.L.A.), – primo ente atto ad elevare la tradizione di Sarule a rappresentante dell’arte regionale – per avviare una collaborazione con le tessitrici sarulesi e rivisitare in chiave moderna la loro attività artigianale. Un connubio che condusse all’apertura anche di un Centro Pilota per la tessitura, che fungeva da laboratorio e luogo di vendita.

Malgrado rilevanti cambiamenti legati all’intervento di Tavolara, – tra cui il passaggio da telai lignei a quelli realizzati in ferro – la tradizione tessile sarulese non perse mai la scintilla creativa, riscontrabile soprattutto nel lavoro al telaio verticale. Variante di quello orizzontale formata da due assi perpendicolari e una trave dove si legavano i fili, dal telaio verticale si ottenevano manufatti più caratteristici tra cui anche “sa burra”, che nel frattempo aveva assunto la pratica funzione di tappeto.

Tra i prodotti più rappresentativi, “sa burra” si otteneva dal manto di pecora, da cui si ricavava un filato più resistente per la base e soffice lana per le trame. Una volta riscontrata la forma desiderata si passava alla colorazione, peculiarità dei tappeti sarulesi, data dalla cottura di erbe e rinforzata da una miscela di acqua con cenere detta “sa lessia”. A completare l’opera contribuiva infine la creazione di particolari motivi tratti dalla vita paesana, tra cui per esempio “is denteddas” – richiamante la dentatura umana – e “sos mojos”, ispirati a contenitori in sughero usati per la lievitazione del pane o come casette per api.

Tutt’ora solida e invalicabile, la pratica tessile sarulese continua a sussistere non solo con la promozione di corsi di tessitura per gli abitanti, ma soprattutto tramite l’attività di laboratori artigiani come quello della signora Speranza Ladu, tessitrice fin da giovanissima. Nata nel 1934, Speranza può vantare oltre 70 anni di esperienza e ad oggi è considerata un’autentica testimonianza vivente, tanto da aver ottenuto alcuni relativi riconoscimenti. Una passione che la signora Ladu non solo ha insegnato e diffuso nel paese, ma che ha pure tramandato alla stessa figlia Lucia, che attualmente gestisce il laboratorio e realizza tappeti spettacolari. Attraverso l’uso del telaio verticale i fili prendono vigore e si trasformano in variopinti manufatti, alcuni dei quali vengono persino venduti. Una forte riprova dell’unione di lavoro e passione, che a Sarule trova nell’arte dell’intreccio la sua manifestazione più intensa.

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