Villacidro: sa bidda de is cogas

Sulle tracce delle streghe-vampiro che terrorizzavano la Sardegna: un viaggio tra misteri, superstizioni e la devozione a San Sisinnio

“Per secoli le donne sono state medici senza laurea, escluse dai libri e dalla scienza ufficiale: apprendevano le loro conoscenze reciprocamente, trasmettendosi le loro esperienze da vicina a vicina, da madre a figlia. La gente del popolo le chiamava «le sagge», le autorità, streghe.” – Barbara Ehrenreich: Le streghe siamo noi

Il paese di Villacidro, conosciuto anche come Sa bidda de is cogas, è diventato noto per l’alone di mistero e superstizione che lo circonda da tempi ormai remoti. Ne dà prova la documentazione dell’inquisizione spagnola in Sardegna che nel XVII secolo dichiarava la presenza in paese di almeno sette donne accusate di praticare la stregoneria e poi condannate. La maggior parte di queste donne, pare sia stata condannata con la generica accusa di “superstizione” mentre altre per aver causato la morte di alcuni bambini con le loro arti arcane. Bisogna precisare che, in un periodo in cui in Europa la paura del diavolo era particolarmente radicata sia nella cultura popolare che delle classi più abbienti, e in una terra come la Sardegna, dove le antiche pratiche magico-religiose erano ancora molto radicate nell’animo della gente, trovare persone da accusare di stregoneria dev’essere stato molto facile per i membri dell’inquisizione spagnola.

Le streghe della tradizione, conosciute come Is Cogas, avevano delle lunghe code che tenevano nascoste dentro ampie gonne che arrivavano fino ai piedi. Solitamente erano raffigurate come donne dall’aspetto sgradevole e dalle unghie lunghe, ma che potevano mostrarsi bellissime a seconda della necessità di sedurre, ammaliare o piegare qualcuno alla propria volontà. Potevano trasformarsi in qualunque cosa volessero, gatti, serpenti e persino in mosche per entrare nelle case altrui. Erano esperte in malefici e nella preparazione di filtri magici ma, la cosa più inquietante, è che la tradizione le rappresenta come streghe-vampiro, attratte dal sangue umano ed in particolare dal sangue dei neonati non ancora battezzati.

L’origine della coga risale alle lamie dell’antica Grecia. Le lamie, considerate delle divoratrici di bambini, erano delle creature metà donna e metà bestia, che si aggiravano di notte per rapire chiunque gli capitasse a tiro, e succhiargli il sangue. La leggenda si origina da una delle solite scappatelle amorose di Zeus, con una bellissima fanciulla. Era, come al solito, lo venne a scoprire e per gelosia rese pazza la fanciulla, inducendola ad uccidere tutti i figli nati dal suo rapporto con Zeus.

Fortunatamente esistevano dei rimedi per tenere lontane le cogas: si sprangavano porte e finestre, si sigillavano le serrature con della cera per impedire alla coga di entrare in casa sotto forma di mosca, si potevano mettere degli oggetti, ad esempio un treppiede, al contrario sotto il letto del neonato, in modo da distogliere la coga dal suo intento, oppure si posizionava una falce dentata o una scopa a testa in su vicino alla porta di ingresso. La tradizione vuole, infatti, che le cogas non sapessero contare oltre il numero sette e che quindi sarebbero rimaste tutta la notte a contare le setole della scopa o i denti della falce, dimenticandosi il loro scopo. Il rimedio più potente ed efficace era però rappresentato da S. Sisinnio, il santo patrono di Villacidro che, nell’immaginario popolare, rappresentava la naturale forza in grado di opporsi ai malefici delle cogas. Non appena un neonato veniva al mondo, il padre doveva, infatti, posizionare alle porte e alle finestre un’immagine del santo, per impedire alle cogas di entrare in casa e rapire il bambino. Le storie raccontano, inoltre, di come Sisinnio abbia salvato i raccolti da invasioni di cavallette o liberato un bimbo dalle grinfie di una strega mutata in serpente.

Il santo, al quale la tradizione attribuisce origini villacidresi, viene festeggiato la prima domenica di agosto in una chiesetta campestre, circondata da secolari alberi di ulivo, a lui dedicata. L’area, attrezzata con tavoli da picnic e barbecue in pietra, è l’ideale per raccontare vecchie storie e rivivere gli antichi miti della tradizione.

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