Cantare la devozione e la preghiera: i “Gosos” della Sardegna

Un patrimonio orale che si tramanda nel tempo, dal Logudoro al Campidano i repertori si caratterizzano per la grande varietà territoriale

Cagliari, Sant'Efisio. ? Depositphotos

In tutta la Sardegna, la musica rappresenta un corredo importante per l’esaltazione dei momenti liturgici distribuiti nell’arco dell’anno. Le ricorrenze in cui ciò avviene sono tante e sono accompagnate non solo da lunghe processioni per le vie del centro, ma anche da brani intonati all’unisono dai fedeli. In quest’ultima categoria rientrano anche i “Gosos”, canti paraliturgici in lingua sarda dedicati ai Santi o alla Madonna; esistenti in tutta la regione, essi annoverano una notevole eterogeneità geografica ed esecutiva.

I Gosos si diffusero ampiamente nell’isola intorno al XIV secolo, a seguito della dominazione spagnola; infatti, a partire dal ‘500 essi iniziarono ad essere impiegati in alcune celebrazioni sacre, pur mantenendo la lingua degli invasori. La vera e propria svolta avvenne alla fine del XVII secolo, quando divennero parte integrante del dramma religioso, rituale a metà tra istanze paraliturgiche e teatrali; dopo un’interruzione provocata dalla censura, nel ‘700 la loro produzione riprese e diede vita ad un corposo insieme manoscritto dove, oltre a componimenti in lingua sarda, figuravano anche documenti in spagnolo.

Il tentativo di frenare la proliferazione autografa non si arrestò, ma proseguì fino alla metà del ‘900: nel corso del Concilio plenario dei vescovi sardi del 1924, fu decretato il divieto del loro utilizzo, assieme ad alcune disposizioni contro l’uso del linguaggio autoctono. A discapito delle difficoltà, i canti non persero la propria risonanza e continuarono ad essere tramandati specialmente per via orale; l’attività – svolta soprattutto dai parroci di vari paesi – permise di tutelare e conservare questo patrimonio nel tempo.

Il termine “Gosos” trae origine dal logudorese, il quale a sua volta prende spunto dal latino “gaudium”, ossia “lode”. Assieme a tale declinazione, esistono altre varianti terminologiche dislocate sul territorio: ad esempio, nella Marmilla, nel Sarcidano e nel Campidano esso diventa “gòggius” o “gòccius”, mentre nel nuorese assume l’appellativo di “grobbes”. A prescindere dalla questione linguistica, il suono presenta sempre la stessa struttura ritmica, costituita da una melodia facile e a una sola voce; si è ipotizzato che il modello di riferimento sia da ricercare nel “contacio”, composizione musicale di origine bizantina. Generalmente, il motivo religioso si sviluppa in 2 parti, espletate rispettivamente da un solista che propone le strofe e da un coro che le ripete.

A confronto della linearità melodica, dal punto di vista esecutivo la situazione risulta più complicata in virtù dell’eterogeneità locale. Difatti, a seconda dell’area, i Gosos vengono proposti in maniera diversa e con tecniche canore differenti. È possibile ascoltarli tramite un coro di 4 cantori a tenore, – come accade per esempio a Bitti (NU) – attraverso l’intera assemblea di credenti oppure a più vocalità sovrapposte, ognuna con una propria modulazione; in taluni casi, è previsto anche un accompagnamento strumentale, affidato all’organo, alle launeddas o alla chitarra.

In merito al versante tematico, i contenuti rientrano nell’ambito devozionale ed agiografico, ossia relativo alla vita dei Santi o alla Madonna. Con il passare degli anni, tale materiale è stato recuperato e riunito in numerose raccolte, consentendo di farlo arrivare sino a noi.

I primi prototipi in logudorese risalirebbero ad un periodo compreso tra il XVI e XVII secolo, tramite alcuni manoscritti appartenenti alle confraternite della zona; successivamente, questi codici affluirono nel cosiddetto Laudario, contenente anche “Laudes a sa Rejna de sa Rosa”, il Gosos più antico tra quelli conosciuti. Altre testimonianze interessanti riguardano il gruppo di Gòccius logudoresi e campidanesi – redatto dal sacerdote Giovanni Sechi nel 1934 – e quello pubblicato nel 2005 relativo al paese di Bitti (NU).

Oltre al reperimento molti si adoperarono anche nell’opera di stesura, come accadde per Bachisio Michele Carboni, sacerdote originario di Sedilo (OR) e autore dei Gosos di San Costantino. Il testo non presenta molti riferimenti alla biografia del Santo e possiede la tipica struttura logudorese, ossia una strofa iniziale di 4 versi seguita da 25 parti di 6 righi ciascuna; nonostante la lingua prevalente sia quella del Logudoro, vi sono anche alcune espressioni di derivazione sedilese.

Bagaglio di eccezionale pregio, i Gosos continuano ad avere un ruolo chiave in molti ambiti della vita liturgica sarda. Le occasioni performative sono assai diverse, dalle novene di Natale alle feste patronali, fino alle processioni per le strade in onore dei Beati; contesti particolarmente prediletti sono, per esempio, le celebrazioni di Sant’Efisio a Cagliari e di San Bernardino a Mogoro (OR), che cadono rispettivamente l’1 e il 20 maggio.

Testi di approfondimento

Gosos e Ternuras, vol. I
Gosos e Ternuras, voll. II e III

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