La Sardegna è una terra ricca di tradizioni, molte delle quali tramandate nei secoli e capaci di raccontarne la storia e i costumi. Uno di questi simboli identitari è rappresentato dalla creazione artigianale dei gioielli, legata in particolare alla tecnica della filigrana, un’arte millenaria dai significati profondi, quasi “magici”.
Il termine filigrana è di origine latina, deriva infatti dall’unione delle parole filo (filum) e grano (granum); si tratta di una particolare lavorazione orafa data dall’intreccio di fili sottili d’oro o d’argento i quali, dopo essere stati curvati e intrecciati, vengono riuniti nei loro punti di contatto e saldati su un supporto, anch’esso di metallo prezioso, creando così eleganti monili dalla struttura traforata.
La storia
L’arte della filigrana ha origini antichissime. Una leggenda racconta che erano le janas, le piccole fate protagoniste della mitologia sarda, a tessere al chiaro di luna quei filamenti d’oro grazie ai loro magici telai. Certo è che si tratta di una tecnica che affonda le sue radici nel III millennio a. C., quando nacque nell’Egeo per poi diffondersi nel resto del mondo. In Sardegna le prime tracce del suo utilizzo si rinvengono già nel 1400 ma è solo nel 1500 che comincia ad essere utilizzata regolarmente e, grazie anche alle influenze degli stili utilizzati da altri popoli del Mediterraneo, da quest’arte iniziano a prendere vita quei gioielli locali, dalle trame delicate e preziose, famosi ancora oggi.
Anticamente, ad indossare i gioielli in filigrana sarda erano soprattutto le donne dei ceti sociali alti le quali, una volta che non erano più di tendenza, li donavano alle domestiche. Ecco, dunque, che questi preziosi prendevano nuova vita ed entravano a far parte del corredo delle ragazze di paese. In quegli ambienti acquistavano anche significati simbolici collegati alle varie fasi della vita, dalla nascita fino alla morte, ed un legame con il mondo soprannaturale, venendo utilizzati come amuleti in grado di proteggere da sguardi malvagi e dagli spiriti del male. A testimonianza di questo sono anche le pietre incastonate nei gioielli in filigrana, in particolare il corallo e l’ossidiana.
Ancora oggi vediamo abitualmente questi gioielli adornare i costumi tradizionali indossati dalle donne sarde in occasione di feste e ricorrenze religiose.
La lavorazione della filigrana
Per ottenere la filigrana si segue una specifica procedura che si compone di varie fasi.
Prima di tutto, il metallo viene fatto fondere ad una temperatura altissima e poi versato in una lingottiera per farlo raffreddare. Una volta estratta, la barra di metallo viene ridotta in fili estremamente sottili, fino a 0,15 mm, attraverso passaggi successivi in un laminatoio. Durante le varie fasi della lavorazione, il filo viene fatto cuocere più volte, per garantirne l’elasticità. Si procede quindi ad attorcigliarloper creare il disegno desiderato.
La lavorazione della filigrana può essere di due tipi: a giorno o a notte. Quella a giorno è senza supporto. Si crea la struttura del gioiello che viene prima riempita con filo avvolto a spirale e, infine, saldata alla struttura sottostante in punti di contatto. Nella lavorazione a notte, invece, si usa un supporto sul quale si salda il filo ritorto, sagomato poi in diverse forme.
Una volta ottenuta la filigrana, dopo la doratura o argentatura, si esegue una lucidatura per rendere il metallo brillante e luminoso.
I monili della tradizione
L’emblema dei gioielli isolani realizzati in filigrana è il bottone sardo. Utilizzato inizialmente per chiudere i polsini e il colletto della camicia del costume tradizionale, è stato poi incorporato in anelli, collane ed orecchini. La tipica forma del bottone, sferica e circolare, spesso bombata, su cui al centro viene applicato un pallino o una pietra colorata, ricorda quella del seno femminile e ne racchiude il significato. È chiaro, infatti, il riferimento alla fertilità e alla dea punica Tanit. Il fatto poi che fosse in oro e che la futura sposa, nella tradizione, lo ricevesse in regalo dal futuro marito, era un chiaro segno della condizione agiata in cui si trovava la famiglia.
Molto apprezzata, tanto che si può ancora osservare al dito di alcune donne, è la fede sarda. Questo tipico anello in filigrana, dal design unico e caratteristico, è da sempre stato realizzato in diversi modelli, i più conosciuti sono quelli a nido d’ape e a foglia. La composizione è costituita da microsfere, piccoli pallini preziosi che simboleggiano i chicchi di grano, segno di prosperità e legame della coppia.
Oltre ad essere utilizzato come anello di fidanzamento e venire tramandato di madre in figlia in occasione di ricorrenze importanti, anche questo monile ha un valore non solo economico ed ornamentale ma anche simbolico. Si racconta, infatti, che nell’antichità l’uomo si rivolgesse alle janas per avere un gioiello da regalare alla sua amata e che desse protezione.
Ispirati a “sa corbula”, il tradizionale cesto sardo senza manici, sempre presente nel corredo nuziale e utile in casa per la preparazione di pane e dolci, sono i gioielli “a corbula”, realizzati con la tecnica della filigrana a spirale e su cui vengono poi applicate decorazioni. Il significato è molto simile a quello del bottone sardo. La forma a spirale rappresenta, infatti, una dedica alla figura femminile che genera la vita, rappresentando dunque un segno di prosperità e buon augurio.