«Una specie di sotterraneo conico, largo in fondo e stretto in cima, formato di grosse pietre basaltiche ben tagliate. Vi si entra da un passaggio composto di pietre accuratamente lavorate e disposte l’una sull’altra in forma di gradini; l’interno del cono è costruito nello stesso modo… si solleva per quattro metri dal fondo attuale (colmo di terra) all’apertura superiore che somiglia a quella di un pozzo».
È il 1820 quando il generale, naturalista e cartografo Alberto La Marmora si trova per la prima volta di fronte al pozzo sacro di Santa Cristina di Paulilatino descrivendolo con queste parole. Ancora oggi, a distanza di quasi due secoli dalla visita del La Marmora, questa struttura che l’archeologo Giovanni Lilliu ha datato all’XI sec. a.C. è fonte di fascino e mistero, soprattutto per chi sceglie di visitarla nei giorni degli equinozi.
Di “certo” si sa che nel pozzo di Santa Cristina e nelle sue vicinanze dovettero svolgersi riti connessi ai culti delle acque e che l’uso dell’area continuò ben oltre l’età nuragica. Meno certa, invece, perché non unanimemente condivisa dagli studiosi, è la teoria secondo cui il santuario sarebbe stato anche un luogo di osservazione astronomica, da cui scrutare in maniera accurata i moti celesti e permettere quindi (tra le altre cose) anche la previsione delle eclissi. Chi lo sostiene (come Arnold Lebeuf, professore di Antropologia e Archeoastronomia presso l’Università Jagielonian di Cracovia) fa riferimento anche ai particolari fenomeni lunari e solari, che si verificano nel pozzo in occasione degli equinozi.
Ogni anno, infatti, in coincidenza con l’equinozio di primavera (intorno al 21 marzo) e d’autunno (intorno al 23 settembre), i ventiquattro gradini che portano verso il fondo del pozzo sono completamente illuminati dalla luce del sole. Scenderli in contemporanea con un equinozio significa vedere la propria ombra proiettata sulla parete di fronte capovolta. E anche se la scienza ha spiegato questo fenomeno attraverso l’effetto di rifrazione dell’immagine, è innegabile che, per chi lo vive, il fascino del “mistero” rimanga.
Il pozzo di Santa Cristina presenta almeno un’altra particolarità legata ai cicli celesti. Ogni diciotto anni e sei mesi, la luna piena (che si trova in quel momento alla sua maggiore altezza) splende attraverso l’apertura del pozzo, illuminandolo completamente e riflettendosi sull’acqua.
Casualità o frutto di una precisa conoscenza del moto degli astri?
I più scettici non hanno dubbi: non può trattarsi di nulla di voluto ma di semplice casualità, anche perché, a Santa Cristina, la Luna non si colloca perfettamente alla verticale dello zenit e comunque la sua luce non avrebbe potuto attraversare la copertura esterna del pozzo, di cui oggi non resta nulla.
Dall’altro lato, però, c’è chi sostiene il contrario e, per questo, ha confrontato e studiato la collocazione e l’orientamento del pozzo rispetto alla mappa del cielo nei secoli in cui la struttura è stata costruita, trovando riscontri di una precisione tale da sorprendere. Anche in altri santuari sardi dello stesso tipo, del resto, gli equinozi di primavera e autunno (ma anche i solstizi d’inverno ed estate) segnano il momento in cui la luce del sole attraversa il pozzo (o alcune sue parti) illuminandolo in maniera quantomeno “particolare”. I loro costruttori avrebbero avuto, quindi, conoscenze astronomiche tutt’altro che casuali e sulla base di queste avrebbero costruito i pozzi sacri.
Secondo i sostenitori di questa teoria, quindi, le “inesattezze” notate dai più scettici sarebbero dovute ai cambiamenti (rispetto alla situazione terrestre e celeste) intercorsi con il passare dei secoli. Inoltre, l’eventuale presenza di una copertura esterna non avrebbe obbligatoriamente ostacolato il passaggio della luce.
Manca a oggi una parola definitiva su questi argomenti. Resta invece (comunque la si pensi) la magia di un luogo che resiste da migliaia di anni, e dei giochi di luce, acqua e ombre che ogni visitatore può vedere con i propri occhi, continuando a restare affascinato. E, con tutta probabilità, continuerà a esserlo anche dopo che, un giorno, il “mistero” sarà (forse) a tutti gli effetti svelato.