“In memoria di me”, l’opera installativa di Giusy Calia chiude la rassegna “Specchio del fuoco che tutti agogniamo”

Ultimo appuntamento stagionale con l’iniziativa, dedicata all'arte contemporanea e al tema del perturbante, domani alle 19:30 nella sede di via Carso a Sassari

Giusy Calia "Verba volant" (2022)

Giusy Calia "Verba volant" (2022)

Sassari. Domani, sabato 29 aprile, alle ore 19:30, ultimo appuntamento, per questa stagione, della rassegna “Specchio del fuoco che tutti agogniamo”, la rassegna dedicata all’arte contemporanea e curata dall’associazione il Colombre.

La rassegna è stata la naturale prosecuzione della mostra internazionale “Qualcuno perfino sostiene che non esiste”, dedicata a Dino Buzzati, nel cinquantenario della sua morte, e al suo racconto “Il Colombre”. La mostra si è svolta alla Pinacoteca Nazionale di Sassari, e per due mesi, a partire da dicembre, la letteratura e l’immaginario di Buzzati si è moltiplicato negli sguardi e nelle opere inedite di 15 illustratori e illustratrici provenienti da tutto il mondo e nelle opere inedite di 8 artisti visivi, contemporanei che lavorano e vivono in Sardegna. In questo periodo l’associazione e la Pinacoteca, hanno proposto vari momenti di incontro e attività laboratoriali dedicati ad ogni fascia di età per approfondire non solo la figura dello scrittore e artista italiano ma anche le tematiche trattate nelle sue opere.

Proprio da questo percorso è nata la rassegna “Specchio del fuoco che tutti agogniamo” che da gennaio, settimana dopo settimana, ha indagato ulteriormente il tema del perturbante nel contemporaneo e attraverso le opere e i linguaggi artistici (pittura, performance, musica, installazione) di: Roberto Chessa, Antonio Crobu, Max Mazzoli, Serena Salis, Marcello Scalas, Danilo Sini e Claudio Maniga, Trasponsonic. La rassegna riprenderà a settembre con un ultimo appuntamento dedicato al perturbante, per aprirsi poi a nuove tematiche, dialoghi e linguaggi.

Intanto l’associazione continuerà a curare il percorso sull’arte contemporanea in Sardegna anche nelle prossime settimane estive con alcuni appuntamenti ma nel frattempo, questo sabato, propone l’opera installativa di Giusy Calia, artista di rilevanza internazionale, sassarese ma di nascita nuorese. Classe 1971, inizia il suo percorso artistico a 15 anni, prendendo confidenza con la macchina fotografica. Da quel momento il suo percorso di crescita teorica va di pari passo a quello artistico, intersecandosi e vivificandosi continuamente.

La sua formazione passa dalla letteratura, attraversa la filosofia e continua con la psicologia clinica e la pratica psicanalitica. Alla formazione teorica si affianca quella pratica: per perfezionare le sue tecniche dell’audiovisivo, Calia ha frequentato un corso intensivo di fotografia presso l’Accademia John Kaverdash di Milano e un corso di videomaking presso la New York Film Academy, che ha portato alla realizzazione di Corpi Liquidi, prima opera in video proiettata in pubblico a Sassari nel 2007 durante la serata di chiusura del corso.  Il tema della follia è presente in modo importante nella sua ricerca e nella sua arte così come le immagini riportano all’inconscio e il turbamento.

Nelle immagini che Giusy Calia estrapola dal reale, attraverso il mezzo fotografico o il video, la norma perde di significato, ci si apre al mistero e in questo il perturbante avanza in tutta la sua potenza archetipa e simbolica. Nella relazione emerge il perturbante, quando meno ce lo aspettiamo, all’improvviso. Questo carattere dell’imprevedibilità rappresenta la stoffa del perturbante, ne è elemento caratterizzante. Lo spazio e il tempo, lo abbiamo visto in questa rassegna, lo abbiamo già detto, giocano un ruolo chiave nella dimensione del perturbante e lo fanno con tutta la loro inconsistenza.

Nella relazione, nell’altro che si impone con la sua alterità, il soggetto percepisce continuamente lo sperdimento, sente franare le coordinate spazio-temporali, fino all’abisso. E gli oggetti? Le cose, i luoghi, le forme che occupano lo spazio materiale, quale ruolo hanno? La relazione allarga i raggi del suo agire e sconvolge il soggetto anche nel rapporto con le cose, le idee che le regnano e le storie che le sovrastano. Anche nelle cose c’è qualcosa che percepiamo oltre, qualcosa che non ci appartiene, di inconoscibile e insondabile.

Nelle opere di Giusy Calia gli oggetti, le cose giocano un ruolo determinante, prendono continuamente voce per infrangere il senso dello spazio scenico contenuto in una foto.

A guardare con attenzione è proprio la relazione che l’artista persegue, moltiplicandola fino a perderne il controllo per lasciarla scorrere al di fuori dell’opera stessa, nei frammenti di immagini, nello spazio scenico e in quello installativo, nel suo sguardo e in quello dell’osservatore. E ci sono loro, le creature dei suoi mondi, quelle che sfiorano le cose, quelle che attraversano le stanze in cui siamo invitati ad entrare o a stare sull’uscio.

Le figure presenti nelle sue opere, non sono guide, non hanno il ruolo di condurci ma quello di farci perdere. Sono fantasmi, creature e soggettività altre ed altere che interagiscono con i paesaggi e con gli oggetti dell’inconscio o gli archetipi dell’Universo. Sono creature che non dicono ma lasciano tracce continue, segni da interpretare e che ci interrogano. Il perturbante ha famigliarità con la meraviglia e con la paura, con la necessità della domanda davanti a ciò che ci appare sconosciuto e inconoscibile. La poetica filosofica di Giusy Calia è un gioco in cui la regola assume significati sempre nuovi, è un viaggio nelle stanze della meraviglia e queste stanze sono disseminate di luoghi e creature, misteri senza soluzione.

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