“La buona educazione” della Piccola Compagnia Dammacco a Cagliari e Nuoro

La pièce con Serena Balivo, un intenso ritratto al femminile, andrà in scena venerdì al TsE di Is Mirrionis e sabato al Bocheteatro del capoluogo barbaricino

📷 Luca Del Pia

Un intenso ritratto al femminile ne “La buona educazione”, la pièce ideata, scritta e diretta da Mariano Dammacco e interpretata da Serena Balivo (Premio Ubu 2017 come miglior nuova attrice / performer under 35) in cartellone venerdì 24 febbraio alle 20:30 al Teatro TsE di Is Mirrionis a Cagliari per “Il Terzo Occhio” / Rassegna Multidisciplinare delle Nuove Creatività e sabato 25 febbraio alle 20:30 al Teatro Bocheteatro di Nuoro sotto le insegne della Stagione 2022-2023 de La Grande Prosa organizzata dal CeDAC / Circuito Multidisciplinare dello Spettacolo dal Vivo in Sardegna.

Una donna si ritrova, in seguito a una serie di circostanze imprevedibili ed estranee alla sua volontà, ad affrontare l’arduo compito di «prendersi cura di un giovane essere umano, ultimo erede della sua stirpe»: una sfida non semplice, per chi provasse a riflettere sulla responsabilità di forgiare la personalità di un individuo diverso da sé, fornendogli degli insegnamenti teorici e pratici, con l’obiettivo di progettare e creare le migliori premesse per il suo avvenire.

“La buona educazione” (testo vincitore dell’Italian And American Playwrights Project 2020/22) con ideazione, drammaturgia e regia di Mariano Dammacco, che ha curato anche lo spazio scenico insieme con Stella Monesi, è una produzione della Piccola Compagnia Dammacco e del Teatro di Dioniso, in collaborazione con L’arboreto / Teatro Dimora, il Teatro Franco Parenti e Primavera dei Teatri, con il sostegno delle residenze artistiche Compagnia Diaghilev / Residenza Teatro Van Westerhout, Residenza Teatrale di Novoli – Principio Attivo Teatro – Factory Compagnia Transadriatica, Giallo Mare Minimal Teatro, Capotrave Kilowatt/Bando Sillumina Siae 2017 e Residenza teatrale Qui e Ora.

Uno spettacolo immaginifico, a tratti ironico ma anche toccante, incentrato su una questione cruciale come la formazione delle nuove generazioni, a partire da alcuni interrogativi fondamentali: «Quali sono i valori, i contenuti, le idee che oggi vengono trasmesse da un essere umano all’altro? Quali sono gli attori di questa trasmissione di contenuti? A cosa servono questi contenuti, questi valori, queste idee? A cosa ci preparano?».

Il dilemma della protagonista, proiettata in una situazione lontanissima dalle sue aspettative, riguarda in fondo il concetto stesso di “umanità” ovvero quel complesso sistema di valori e di regole condivisi in seno a una comunità, in cui sia possibile riconoscersi e su cui basare il senso di appartenenza e la propria identità, accanto alle molteplici conoscenze acquisite nel corso dei secoli, prezioso patrimonio immateriale con cui donne e uomini del futuro sono chiamati a confrontarsi e dialogare, per contribuire ai nuovi sviluppi.

Una sorta di fil rouge attraversa le differenti epoche, mettendo in relazione i moderni “cuccioli della specie” con i loro “antenati” sparsi su tutto il pianeta, nella consapevolezza che sentimenti e passioni, emozioni, ideali e principi – amore e odio, paura, gioia e dolore, oltre alla coscienza del bene e del male – assumono un significato universale, a tutte le latitudini. La cultura gioca un ruolo importantissimo, così come l’ambiente in cui si cresce, nel mettere in risalto le potenzialità e i talenti, le inclinazioni e le capacità di ciascuno, nel favorire o impedire uno sviluppo armonioso sia fisico che psicologico, tanto che la scuola è (o dovrebbe essere) una delle istituzioni basilari su cui investire risorse in una società evoluta.

Tuttavia la famiglia svolge una funzione primaria per la definizione del carattere, degli interessi e delle aspettative individuali, in una dinamica affettiva prima ancora che educativa, dove i “rapporti di potere” ancorché chiari e definiti si fondano sull’auctoritas, l’autorevolezza, più che sulla forza, e la creatura impara a dialogare con il mondo complicato e misterioso degli adulti, inizia a tracciare i confini tra sé e gli altri, scopre e in parte subisce modelli e stili di vita cui potrà adattarsi o magari ribellarsi. Se quel legame “naturale” viene spezzato – o viene infranto il patto implicito di accudimento e protezione, assistenza e educazione che unisce genitori e figli – subentrano altre figure cui può essere delegato l’obbligo di cura sulla base di un imperativo morale o sociale: un essere troppo giovane non può e non deve essere abbandonato a se stesso, è necessario e opportuno che ci si preoccupi di fornirgli gli strumenti indispensabili per comprendere e decodificare l’universo, e specialmente il microcosmo di cui fa parte, per potersi rapportare adeguatamente agli altri nei differenti contesti.

Un nutrimento per il corpo e per lo spirito commisurato alle esigenze e alle qualità e inclinazioni dell’interessato/a, permette alla personalità di fiorire e all’intelligenza di manifestarsi appieno, ma anche qui sorge il quesito su come stabilire quale sia la miglior linea di condotta, quali “ingredienti” inserire o sottrarre, per ottenere una felice alchimia. Ne “La buona educazione” la protagonista si (e ci) interroga su un tema fondamentale e però troppo spesso ignorato o lasciato al caso, o magari alla buona volontà dei singoli: la zia improvvisamente costretta ad occuparsi di un nipote, figlio della sorella, non più con l’affettuosa sollecitudine di una “estranea”, sia pure legata da un vincolo di sangue e stretta parentela, ma con gli oneri e le responsabilità di una pedagoga, è costretta a ripensare alla propria esistenza.

Quell’essere (quasi) sconosciuto stravolge, inconsapevolmente, la sua routine e le sue certezze: «deve ospitarlo nella sua vita, nella sua casa, nella sua mente, deve educarlo, progettare il suo futuro, deve contribuire all’edificazione di un giovane Uomo». La pièce mostra – con evidenza quasi “plastica”, attraverso l’evocativa scenografia – il “teatro della mente” della protagonista dove affiorano i “fantasmi” del passato e gli echi del presente, in una immaginaria diatriba da cui dovrebbe scaturire la perfetta sintesi “astratta” della corretta educazione, salvo poi doversi confrontare con la realtà, molto più complessa e ricca di sfaccettature, con le distanze, i silenzi, i segreti, e soprattutto la necessità di adattarsi a nuove abitudini, agendo con la massima attenzione e circospezione per non spezzare fragili equilibri, senza invadere spazi, restando nella sfera dell’ascolto e del rispetto reciproco.

La verità ultima sui frutti dell’impegno profuso e sulla riuscita dell’impresa si scoprirà (forse) alla fine: l’arte non fornisce risposte ma pone domande, offrendo materia di riflessione, istigando al dubbio e all’esercizio del pensiero critico nel tentativo di dare forma all’inquietudine, attraverso la forza espressiva e le potenti suggestioni del teatro. “La buona educazione” indaga sulla condizione umana, sulle peculiarità e gli elementi imprescindibili, le caratteristiche individuali e le influenze della società, privilegiando lo sguardo della protagonista, una donna chiama inopinatamente a svolgere attivamente il suo ruolo di zia, sostituendosi ai genitori e agli altri familiari, come unica parente rimasta, diventando un punto di riferimento nell’esistenza del nipote e cercando di calibrare le diverse funzioni affettive e di consigliera, mediatrice tra lui e il resto del mondo.

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