“Di mani festarsi”, quando l’arte tessile guarisce le ferite sociali e unisce le culture

Il racconto di Paco Jasa, pseudonimo letterario di un progetto di scrittura a quattro mani, edito da Carlo Delfino, verrà presentato venerdì a Castelsardo e sabato ad Alghero

"Di mani festarsi" di Paco Jana

“Solo duos istranzos, presi dall’incantesimo di quella jana tessitrice di Maria Lai e alla ricerca di tessuti sociali in conflitto, potevano raccontare la storia di un tappeto a due facce divergenti, frutto del radicale disaccordo di due sorelle nel lavoro al telaio. E ancor più fare del manufatto irregolare la metafora del vivere sociale e dell’ordine cosmico.” 

Bachisio Bandinu (dalla prefazione)

“Di mani festarsi” è il romanzo di Paco Jasa, pseudonimo letterario di un progetto di scrittura a quattro mani, pubblicato dall’editore sassarese Carlo Delfino. Il libro verrà presentato venerdì 21 luglio alle 19:00 presso il Museo dell’intreccio Mediterraneo di Castelsardo e sabato 22 luglio alle 18:30 presso il Museo del Corallo di Alghero. Condurrà entrambi gli incontri con gli autori la Dottoressa Francesca Iurato, storica dell’arte algherese.

Il romanzo ha per protagonista un tappeto di Nule e racconta gli effetti che avrà nel tempo sulla collettività. La narrazione intreccia tradizioni di Sardegna e del mondo, parla di creatività, accoglienza e di come l’arte possa sanare ferite sociali. La storia ha affascinato persino l’antropologo Bachisio Bandinu, che ne ha curato la prefazione.

Paco Jasa è un progetto di scrittura a quattro mani nella sfida di oltrepassare l’autoreferenzialità individuale, cercando fin dal primo nascere dell’atto creativo la relazione con l’altro. É un organismo multiplo: ventenne quarantenne ottuagenario, femmina maschio, pianta rettile, giorno notte alba. Ha colori che tradiscono origini in paesi caldi pervasi di luce. Di certo conta antenati rioplatensi nella sua contorta foresta genealogica. Portato all’ironia e alla risata smargiassa, arrossisce negli imprevisti della vita. Capisce molte lingue, ne parla alcune, ne biascica altre. Parla anche con gli occhi, i piedi, i segni e la danza del ventre. Vorrebbe essere infinito ma, seppur composito, è finito. Accumulatore seriale di grazie e disgrazie, ha la pellaccia dura, forse squamata, e gli occhi sporgenti dell’iguana. Paco Jasa è tante cose che ancora non sa di essere. E che forse nemmeno sarà.

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