Viaggio sulle ali della fantasia con “In arte son Chisciottə” di Samuele Boncompagni, liberamente ispirato a “Don Chisciotte della Mancia” di Miguel de Cervantes (una produzione di Officine della Cultura, con il contributo della Regione Toscana e del MiC / Ministero della Cultura) in cartellone (in prima regionale) mercoledì 16 febbraio alle 20:30 al TsE di Is Mirrionis in via Quintino Sella a Cagliari per l’ultimo appuntamento con “Il Terzo Occhio” / rassegna multidisciplinare delle nuove creatività e poi in tournée nell’Isola – giovedì 17 febbraio alle 21 al Padiglione Tamuli delle ex Caserme Mura di Macomer, venerdì 18 febbraio alle 21 al Teatro “Tonio Dei” di Lanusei, sabato 19 febbraio alle 21 al Teatro San Bartolomeo di Meana Sardo e infine domenica 20 febbraio alle 18 all’AMA / Auditorium Multidisciplinare di Arzachena (in collaborazione con Deamater) – sotto le insegne della Stagione di Prosa 2021-2022 organizzata dal CeDAC / Circuito Multidisciplinare dello Spettacolo dal Vivo in Sardegna.
Sotto i riflettori due attrici – Luisa Bosi e Elena Ferri – insieme con i Solisti dell’Orchestra Multietnica di Arezzo, ovvero Luca Roccia Baldini (basso, cajon), Massimo Ferri (chitarra, oud, mandolino), Gianni Micheli (clarinetto, fisarmonica) e Mariel Tahiraj (violino) che interpretano le musiche originali scritte da Massimo Ferri, in una suggestiva mise en scène “dietro le quinte” a ricordare la nascita di uno spettacolo, con la scenografa in scena Lucia Baricci, il tecnico in scena Paolo Bracciali, il fonico Gabriele Berioli, la regia live streaming di Pierfrancesco Bigazzi e Giulio Dell’Aquila (Materiali Sonori), in una sorta di ipotetico “work in progress” sulla falsariga del celebre romanzo di Cervantes, con la regia dello stesso Luca Roccia Baldini (assistente alla regia Stefano Ferri). Un’affascinante e inedita opera metateatrale e multimediale, nata in tempo di pandemia, come una sfida contro le avversità nel periodo del lockdown e della “sospensione” degli spettacoli: come il celebre hidalgo, deciso a emulare le gesta degli antichi “cavalieri erranti” tra combattimenti contro i mulini a vento, che egli scambia con i temibili e mostruosi “Giganti” e contro eserciti di nemici (poco importa che si tratti in realtà di pacifici greggi di pecore, guidati da meno concilianti pastori), strenuo difensore dei più deboli, perdutamente innamorato della “sua” Dulcinea così gli artisti intraprendono un percorso, reinventandosi e cimentandosi con gli strumenti offerti dalle nuove tecnologie, per tenere accesa la fiaccola della cultura.
“In arte son Chisciottə” – fin dal titolo che prendendo spunto dai recenti dibattiti sull’introduzione dello “schwa” gioca sull’assonanza tra il singolare maschile e il plurale femminile, per mettere in scena le spericolate avventure di due Dulcinee, che «forse a pancia vuota e col vento nella testa… diventano Chisciotte e saltano in sella a questa mirabile storia» sulle tracce dello strampalato “eroe”, consapevole della propria paradossale grandezza – «Io so chi sono, e chi posso essere, se voglio» – incarnazione senza tempo delle battaglie in nome di nobili principi e alti ideali. Un guerriero invincibile – non solo e non tanto negli scontri fisici, da cui fin troppo spesso esce sconfitto e malconcio, e nell’uso della forza – per l’indomita volontà di portare avanti la sua missione, di dar occasione al suo spirito nutrito di avvincenti racconti, di emulare le imprese gloriose degli antichi: un campione dell’immaginazione, un magnifico sognatore capace di trasfigurare la realtà, senza mai rinunciare a battersi mettendo repentaglio la propria incolumità e la propria stessa esistenza, lottando anche contro (presunti) demoni e incantatori, intervenendo per raddrizzare i torti e salvare e proteggere le vittime innocenti.
Nella sua epica follia Don Chisciotte rappresenta l’eterno scontro tra il bene e il male, la necessità di schierarsi dalla parte dei più deboli e indifesi, con un particolare rispetto e devozione per le dame in pericolo, nella miglior tradizione cavalleresca (sebbene negli antichi poemi si ritrovino anche valorose guerriere): un nobile ardore ispira le sue gesta, nelle sue continue fughe dalla realtà e dalle sfera protettiva di amici e parenti egli cavalca intemerato verso l’ignoto, nella speranza di poter realizzare quello che ritiene essere il suo destino. “In arte son Chisciottə” attraverso il meraviglioso gioco del teatro, dove con l’artificio e la finzione si arriva a mettere a nudo la verità e ciascuno può diventare semplicemente quel che crede di essere, attraversare le epoche e vivere mille vite, lasciandosi travolgere dalla giostra delle passioni e condividere con il pubblico le emozioni dei personaggi, sceglie il “cavaliere dalla trista figura” come simbolo del mestiere dell’attore e dell’arte della metamorfosi. Quali eredi e emule di Don Chisciotte, due Dulcinee si tramutano nelle protagoniste della storia, per rievocare le favolose gesta di un personaggio ormai leggendario, in una moderna epopea, affrontando temi scottanti e questioni cruciali del presente, come la ricerca dell’identità in una società “liquida” e multietnica e la condizione femminile, le discriminazioni e le violenze di genere, l’auspicata ma ancora lontana parità e la difesa dei diritti umani, in una pièce, come svela l’autore Samuele Boncompagni, pensata come una “Suite Barocca” in sei movimenti, con un prologo e un epilogo, per poter “entrare” nella vicenda e infine scoprire i codici e i significati, i simbolismi sottesi, e pure le speranze e forse l’utopia di chi, come un novello “Don Chisciotte”, cercasse di trasformare e migliorare il mondo, per regalare all’umanità e alle generazioni future una nuova armonia.
“In arte son Chisciottə” nasce come forma di resistenza, o “resilienza”, durante la chiusura dei teatri, come sottolinea Luca Roccia Baldini nelle note di regia: «Annus horribilis 2020, in piena pandemia e confusione mentale. Unica speranza trovare un’idea per sopravvivere artisticamente. Grazie all’immaginazione ci siamo riusciti ed abbiamo creato un Don Chisciotte che è sempre più attuale e sempre più sognatore. La messa in scena è allo stesso tempo semplice e complessa, così come gli argomenti trattati. Un percorso fatto da tutta la compagnia, dall’ideazione alla creazione fino alla messa in scena. Tre piani di lettura che si incrociano, tre tecniche visive che si miscelano. Parleremo di sogni, di avventure, di speranze, di fallimenti ma anche di come il teatro possa riassumere tutto questo. Di come possa rappresentare ed essere “la Vita”. Parleremo di “genere”, di violenza, di diritti, di donne e di riscatto. Di giustizia. Per arrivare a capire che siamo donne e uomini che vivono in un territorio da condividere, in un mondo da condividere, in una realtà da condividere. Nessuno sovrasta l’altro, tutti accolgono tutti. Un mondo che andrà contro a chi lo vuole annientare, in cui la natura tornerà a impossessarsi del proprio spazio, un mondo dove gli ultimi hanno più importanza dei primi. Il Teatro continuerà a vivere comunque».
«Con Don Chisciotte si sono confrontati grandi artisti di ogni epoca e di ogni parte del mondo: libri, film, canzoni, opere d’arte, spettacoli di teatro e danza. Fare uno spettacolo sul Don Chisciotte di Cervantes, considerato il primo romanzo moderno e che in molti definiscono il miglior romanzo di tutti i tempi è di per sé un’impresa, appunto, donchisciottesca» – afferma Simone Boncompagni, autore della pièce –. «Di fronte alla complessità del testo originale, si deve per forza scegliere. Così, nella mia riscrittura, Don Chisciotte diventa il “fare teatro”. I Giganti contro i quali ci troviamo a combattere in questo tempo sono mulini a vento che impediscono di incontrarci “dal vivo”, che ci tolgono gli strumenti per leggere la realtà, viviamo in una società dove finto e falso si confondono, un mondo dove spesso a un Don Chisciotte manca un Sancio Panza, e viceversa. Nel mio testo ci sono il vento, il volo, l’atto creativo di guardare il reale immaginandolo diverso, senza mai smettere di sognarlo in continua mutazione: e così, in questi tempi bui, giocare al teatro diventa un atto rivoluzionario, una lucida follia, un’azione politica prima che culturale. Per questo “Chisciottə” sta ad indicare sia un cavaliere singolare, che un plurale femminile, per questo l’uso della schwa “ə” nel titolo. La drammaturgia è nata in forma di suite barocca in sei movimenti a cui si sono aggiunte due parti: una in testa, per entrare nella storia, e una in coda, per portarsi il racconto anche a casa propria finito lo spettacolo. Il teatro è inutile, come le azioni intraprese da Don Chisciotte, per questo è giusto continuare a farlo. Mi piace che lo spettacolo debutti in occasione (quasi) del triste anniversario della chiusura dei teatri: la coincidenza sarà opera di qualche incantatore? Io sono tranquillo perché in arte siam tutti Chisciottə».
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