“La luna e i falò”: Andrea Bosca in scena a Ittiri, Sanluri e Cagliari con l’omaggio a Cesare Pavese

Un affresco del Belpaese che narra del ritorno di Anguilla, emigrato in America, alla sua terra d'origine nel secondo dopoguerra, e del suo confronto con il passato e il presente

Andrea Bosca e Paolo Briguglia in “La luna e i falò”. ? Giovanni Canitano

Un affresco dell’Italia nel dopoguerra con “La luna e i falò” di Cesare Pavese, nell’interpretazione di Andrea Bosca, che ha curato anche l’adattamento del testo insieme con Paolo Briguglia, che firma la regia dello spettacolo prodotto da BAM Teatro, in cartellone, dopo la replica di venerdì 10 marzo alle 20:30 al Teatro Comunale di Ittiri per la rassegna del Mab Teatro con il patrocinio del Comune di Ittiri e il contributo di Fondazione di Sardegna, sabato 11 marzo alle 21 al Teatro Comunale “Akinu Congia” di Sanluri sotto le insegne della Stagione 2022-2023 La Grande Prosa organizzata dal CeDAC / Circuito Multidisciplinare dello Spettacolo in Sardegna CeDAC e infine domenica 12 marzo alle 19:30 al Teatro Alkestis di Cagliari a cura di BAM Teatro.

Riparte dall’Isola la tournée nazionale della pièce tratta da uno dei libri più emblematici del poeta e scrittore di Santo Stefano Belbo, in scena dal 15 al 17 marzo a Il Rossetti di Trieste, il 23 marzo al Cinema Multisala Grivi di Enna, il 29 marzo al Cinema Teatro Sociale Nizza Monferrato di Nizza Monferrato (AT), il 30 marzo al Teatro Asioli di Correggio (RE) e infine il 16 aprile al Teatro Torti di Bevagna (PG) per la II edizione della rassegna Performer in Umbria / PIU nell’ambito del Festival del Cinema Città di Spello.

Viaggio tra le righe dell’ultimo romanzo dell’artista piemontese (vincitore del Premio Strega nel 1950 per “La bella estate”), incentrato sul ritorno di Anguilla, il protagonista, già emigrato in America, nel paese della sua infanzia al termine del secondo conflitto mondiale: egli si confronta con una realtà profondamente cambiata e segnata dalle ferite della guerra, tanto da non riconoscere più i volti e i paesaggi familiari, fino a sentirsi ormai straniero in patria.

La pièce riprende la forma della narrazione in prima persona, per far rivivere attraverso lo sguardo di Anguilla le emozioni e le aspettative di quel moderno “nostos”, in una sorta di epopea alla rovescia, tra il riaffiorate dei ricordi e la nostalgia del passato, dove si avverte il fascino di quella civiltà arcaica e (quasi) immutabile accanto alla consapevolezza delle ingiustizie e della violenza che vi si perpetuano e all’amarezza di non riuscire a modificare, o almeno non facilmente, quelle regole e quegli equilibri stabiliti da secoli. Andrea Bosca trasporta sulla scena un’opera ricca di spunti autobiografici, da cui traspare un intenso lirismo insieme alla lucida coscienza sociale (e politica) dell’autore e del personaggio fulcro della vicenda, in un avvincente gioco di luci e ombre dove quel mondo antico e moderno insieme, denso di contraddizioni si svela in tutta la sua dolorosa bellezza e umanità.

Una rigorosa partitura teatrale per l’attore, diplomato alla scuola del Teatro Stabile di Torino diretta da Mauro Avogadro e volto noto e amato del grande e del piccolo schermo, da “Noi credevamo” di Mario Martone a “Febbre da fieno” di Laura Luchetti a “Gli sfiorati” di Matteo Rovere e “Magnifica presenza” di Ferzan Özpetek, e ancora “Pasolini” di Abel Ferrara e “Nemiche per la pelle” di Luca Lucini, “Toscana” del danese Mehdi Avaz, fino ai recenti “Trafficante di virus” di Costanza Quatriglio e “Romanzo radicale” di Mimmo Calopresti (nel ruolo di Marco Pannella) e in televisione dalla fiction su “Don Bosco” a serie come “I Medici”, “Il capitano Maria” e “La guerra è finita”, e ancora la serie internazionale “3 Caminos” di Prime video (Amazon Exclusive), “Nudes” di Laura Luchetti e la nuova stagione di “Màkari” di Michele Soavi. Artista poliedrico, capace di spaziare tre differenti generi e registri, Andrea Bosca presta corpo e voce ad Anguilla, il ragazzo di un tempo, sfuggito alla miseria e alla fame per cercare fortuna, che diventato uomo si confronta con i paesaggi e le genti della sua infanzia.

“La luna e i falò” – con il disegno luci di Alessandro Carletti e i costumi di Tommaso Lagattolla, per la regia di Paolo Briguglia, mette in risalto i temi fondamentali, come il senso della vita, l’amore e il dolore, ma i tradimenti e le ingiustizie, la rabbia che sfocia in violenza, l’odio e l’indifferenza, la crudeltà verso chi non può o non sa difendersi, sottesi al racconto tra le inquietudini esistenziali del protagonista e i nodi irrisolti della storia del Belpaese – ieri come oggi. La scrittura limpida e potentemente evocativa di Cesare Pavese segue il filo dei pensieri del protagonista, il ritmo dei passi e l’eco delle conversazioni, restituisce vivida la sequenza degli incontri, primo fra tutti quello con Nuto, amico e mentore negli anni della giovinezza, con il quale il protagonista rammenta gli episodi lieti e tristi del passato e fa i conti con la crudeltà e le macerie della guerra, con il suo lascito di lutti e tragedie, quasi riconciliandosi con la propria e storia e le proprie radici, prima di ripartire per altri luoghi, guardando al futuro.

Il fanciullo adottato da Padrino e da Virgilia dopo esser stato abbandonato, neonato, sugli scalini del Duomo di Alba, poi trasferitosi, dopo la morte della donna e la distruzione della vigna, alla fattoria della Mora, dove aveva iniziato a lavorare presso il sor Matteo e le tre figlie, Irene, Silvia, Santa – di cui scoprirà il destino solo alla fine – riemerge dalla memoria e trova da adulto le risposte agli interrogativi rimasti in sospeso, scoprendo un altro se stesso in Cinto, il figlio del Valino – nuovo proprietario della casa del Padrino. Pare quasi di immergersi in quegli scenari, di scoprirne i colori e i profumi, di ascoltare i rumori e le voci, sulle orme di Anguilla e di Nuto: le parole ritraggono una natura feconda e matrigna, la dura esistenza dei contadini e la seduzione che esercita sul protagonista la vista della “sua” terra.

Un’altra Italia, molto diversa, si dispiega davanti agli occhi di Anguilla, di ritorno dalla lontana America: «La guerra ha sconvolto le esistenze di tutti, soprattutto di chi è rimasto ed ha tracciato una nuova geografia dell’anima. Un senso di povertà, una solitudine, una inadeguatezza attanaglia i sopravvissuti», sottolineano Andrea Bosca e Paolo Briguglia nelle note di presentazione. «Tutta la profonda materia del romanzo, raccolta in 32 densissimi capitoli, ci è parsa di una attualità impressionante, perché disegna attraverso i personaggi e i temi che lo popolano, argomenti di cui abbiamo bisogno di parlare e che ancora ci riguardano: identità, bene comune, fratellanza, senso di appartenenza ad una comunità più ampia. Attraverso il suo protagonista Anguilla e l’io narrante dello scrittore, il romanzo parla di quel ritrovarsi adulti, cresciuti, uomini eppure imperfetti, fuori posto, anche tornando nei luoghi che immaginiamo di conoscere come le nostre tasche. Il racconto si sdoppia tra il ricordo e la perdita, l’appartenenza e l’illusione, l’infanzia e la consapevolezza dell’età adulta, rassegnata e nichilista. Lì dove tutto è fermo, tutto è mutato: la luna c’è per tutti eppure qualcosa manca sempre».

«“La luna e i falò” raccoglie lo smarrimento misto a malessere comune all’uomo contemporaneo» – spiega Paolo Briguglia -. «C’è tanto del nostro essere giovani uomini in questo adattamento per il teatro che firmo insieme ad Andrea Bosca: l’inquietudine, l’essersi allontanati dai luoghi di origine, il modo difficile di sentirci a casa da qualche parte. Ho ritenuto opportuno raccontare il qui e ora della voce narrante, trasformando il palcoscenico nella piazza del paese su cui Anguilla – che “nessuno conosce e nessuno più riconosce” – fa il suo arrivo. Il pubblico diviene l’interlocutore curioso a cui restituire la memoria del proprio vissuto e quella di quei luoghi nei tempi della sua assenza. Emerge lo strato profondo che un autore immensamente grande come Cesare Pavese ha voluto rappresentare: il senso della vita, l’andarsene, il tornare, l’essere straniero, il bisogno di una identità radicata che si rifletta nelle persone, nei luoghi, che ci hanno visto diventare uomini».

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