Io Racconto: “L’albero degli impiccati maledetti” di Antonino Trovato

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Bentrovati amici lettori,

in occasione di Halloween ecco una nuova storia per il nostro appuntamento di #ioraccontoaSH un racconto dalle tinte Horror, che rievoca un passato mai dimenticato, una cronaca di vite spezzate nel nome della fede…

Avete capito di cosa sto parlando? Anche stavolta l’autore Antonino Trovato nato a Catania nel 1984 rievoca con questo racconto la sua grande passione per il genere fantasy, horror, manga, anime e videogames, che fanno ormai parte del suo quotidiano, a modo suo, coniuga queste passioni attraverso la magia della scrittura, dando sfogo alla propria creatività e intrattenendo il lettore.

Per creare l’atmosfera giusta per la lettura, suggerisco un brano dei Metallica: The Unforgiven.

Se volete potete seguire Antonino sulla sua pagina Instagram @darksinfeno84 dove condivide il suo amore per la scrittura e i libri.

Buona lettura e Buon Halloween a tutti!!
Aurora Redville

L’albero degli impiccati maledetti

di Antonino Trovato

Pupille dilatate di una giovane donna urlavano tutta la sofferenza del corpo, mentre il soffio etereo della vita si consumò nell’affannoso sospiro di un’innocenza stroncata senza alcuna pietà. La vista l’aveva abbandonata, e i residui riverberi di quell’esistenza giunta al termine presero le fattezze di schiamazzi lontani.

Puttana!

Lurida sgualdrina!

Amante del diavolo!

Rintocchi amari di una libertà soffocata trovarono riposo in purpurei rivoli che le rigavano ancora le pallide guance, e le lacrime sapevano di sofferente rassegnazione. Le profonde ferite, disseminate per tutte le sue fragili membra, straziarono le carni sino a maciullare le estremità più intime della sua coscienza, lacerando ogni lembo del suo essere annichilito dal profumo eremitico della morte. Le palpebre erano pronte a serrarsi un’ultima volta; gli occhi avevano perso il loro colore. Proprio come Sara, che non ebbe più il tenero abbraccio della speranza. Il bisbiglio del suo cuore si fece largo tra vecchie e annerite istantanee, palpitando nelle vene il nome di un futuro dissoltosi tra le oscure fiamme dell’oblio. Il flebile sbuffo del vento le mosse appena il ciuffo corvino che le penzolava da un crine martoriato da cruda violenza, accompagnandola tra le mani del sonno infinito. E proprio quando la Luna fece capolino, infrangendo le imperterrite nuvole col proprio abito splendente, un fascio di luce sfiorò le gote morenti di Sara, adombrato soltanto da mille occhi abissali che la fissavano, la cercavano, torturandole l’anima con mostruose parole mai udite. Improperi maledetti che aprirono la via ad un inferno senza fine.

Che tu possa essere dannata!

Brucia! Brucia troia maledetta!

Sara sgranò gli occhi e fissò il vuoto di quelle nude parole. Fu allora che la fanciulla, di bianco adornata, accolse su di sé la triste e dura incarnazione del caos più tetro. L’incendio la divorò, il cappio le rubò l’ultimo respiro. E come in una gran festa, la gente attorno contemplava compiaciuta e inneggiò macabre cantilene in segno di gloria, subissando l’urlo di sofferenza di un giovane fiore spezzato da sguardi intrisi di pazzia. Sette uomini stavano al suo capezzale ardente. Occhiate inespressive, accese solo dal fuoco che, lentamente, portava via con sé petali ormai imbruniti.

*

Intento a scrivere le sue memorie, l’espressione di Riccardo era pregna di soddisfazione nel descrivere ciò che aveva fatto. Inzuppava la punta della nera piuma nell’inchiostro e, senza errare, stilettava il vergine foglietto con infervorate espressioni. La piccola candela, ormai consumata e poggiata sul suo scrittoio, illuminava un volto logorato dal tempo che scorre, ma mai pago di saziare la sua fede e servire la piccola comunità in cui viveva. Nel silenzio della sua solitudine, rotta solo dai brevi e ovattati rintocchi del pendolo alle spalle, così scriveva:

Era una puttana! Meritava di essere purificata! Il demonio l’aveva posseduta nell’istante in cui decise di trasgredire i sacri vincoli e disonorare il buon nome della famiglia. Trovarla là, in quel letto sudicio, avvinghiata a quell’infimo plebeo, è stato disgustoso! Le sue caste nudità erano state profanate dal fremito del peccato e della sua voglia di libertà, un empio desiderio frutto certamente del diavolo assopito in lei. Ah! Quante volte le dicevo, quand’era solo una bimbetta, di non conversare con gli animali, di non bisbigliare ai fiori nei campi, di non fissare con occhi sognanti il buio della notte! La gente mormorava fosse una fattucchiera, una bizzarra figlia di mostri diabolici, insudiciando il MIO buon nome, quello di Riccardo Vasquez, uno dei sette priori del Sacro Ordine! Lei non è mai stata mia figlia! Strega! Puttana! Bruciata e impiccata!”. 

Si alzò di scatto; sputò in terra tutto il suo odio. Dalla tasca dei suoi calzoni, tirò fuori una ciocca scura, strappata con vituperato fervore dallo scalpo della figlia nel tentativo di trascinarla al centro della piazza. Il ricordo di quella notte fluiva placido come un fiume lordato di sangue, mostrandogli i vitrei smeraldi della figlia, inumiditi e disperati, che dovettero assistere alla pubblica esecuzione del suo amante. Solo rantoli e gemiti presero per mano i colpi di mannaia che squartarono, con gelido sollazzo, le ignude membra del peccatore; e mentre il rosso vermiglio colorava gli abiti dei puri inquisitori, i bimbetti sembravano non inorridirsi al cospetto di quel funesto sbudellamento. Adempiuto il primo sacrificio, la figlia venne condotta ai piedi di un albero, poco fuori il villaggio, e tra inni ed urla degne di spiriti fanatici, alcuni uomini la riempirono di calci, pugni e sputi, per poi violare più volte quel fiore dal gambo spezzato. Dopo averla purificata in Terra, venne vestita di bianco, per ottenere il dono dei Cieli.

Impiccata in quell’albero, data in pasto alle fiamme.

Riprese fiato, tranquillizzò la pazzia delle parole. A denti stretti si fece il segno della croce; quindi, proferì solenni mormorii:

«Che le nostre preghiere possano coltivare il seme della purezza. Almeno nella tua misera anima!».

In quel momento, il sibilo del vento proiettò la sua veemenza contro i vetri della finestra, il pendolo della camera emise un suono distorto e arcano, tanto da rimbombare in ogni angolo della casa. Riccardo, celando le sue paure, scrutò le lancette dell’orologio: segnavano la mezzanotte. La lancetta dei secondi, seppur in movimento, non andava oltre il numero 12. Il tempo sembrava essersi fermato. Le imposte cedettero, l’urlo della tempesta invase la certezza della fede di Riccardo, che persisteva nella preghiera; eppure ogni luce si spense. Solo la Luna osò sfidare le tenebre. L’uomo mosse un piede, il pavimento scricchiolò, e alcune grida cariche di terrore invasero i suoi pensieri. Percepì il lento e glaciale ansimare di qualcuno proprio sulla nuca e, voltandosi, vide una bimba. Era sommersa da lunghi e fluenti capelli biondi. Lo fissava, lo soppesava con muta indifferenza, specchiando nelle spaurite pupille del vecchio i suoi due azzurri diamanti. E il vecchio poté solo balbettare parole che si smarrirono in un’eco risucchiata dal tempo che fu.

«Tu… tu chi sei? Co…come hai fa… fatto ad entrare?»

La bimba, atona, rispose:

«Tu sei mio nonno. Vuoi venire a giocare con me e la mamma?».

«La… La mamma!? Nonno!?»

Nel turbine dei suoi più cupi interrogativi, Riccardo scivolò sul pavimento. Stravolto e con gli occhi spalancati, strisciò col sedere arretrando e facendosi ripetutamente il segno della croce.

«Va via, demonio! Tu sei il demonio!» sbraitò tremante, col volto rugoso imperlato da rivoletti lucenti. Più tentava di allontanarsi, più quegli occhi infantili e inespressivi lo incalzavano, finché se li ritrovò a pochi centimetri di distanza. Riccardo serrò le palpebre, ma fu inutile. Come onde inarrestabili, quelle due gocce di mare gli travolsero una mente sull’orlo della pazzia.

«Va via, vade retro! Non c’è posto per te in questo luogo di devoti!» intimò tremolante, la voce strozzata dalla sua stessa saliva. Riccardo, oltre al suo terrore che gli bagnò i calzoni, percepì tra le vene palpitanti il fetore della morte; e sbirciando al di là di quel volto inamovibile, intravide le pareti rigarsi di liquido nero. Il pavimento si frantumò in piccoli petali di cenere marcescente.

Tic, tic, tic.

Il pendolo seguitava col suo ipnotico dondolare. Ma il tempo si era fermato a mezzanotte.

Riccardo piagnucolò; chiuse gli occhi e attese. La bimba, con un lungo sorriso dipinto sul volto, gli sfiorò la guancia. La mano ghiacciata lo fece rabbrividire; all’improvviso, però, uno strano calore iniziò ad avvampargli le viscere.

«Sei pronto a giocare con me, nonnino?»

Un vortice stordente, e il gracchiare di corvi svolazzanti, spedirono Riccardo tra le braccia di una visione pregna di lamenti, corpi disciolti dal magma incandescente o mutilati da foglie cadenti affilate come rozze mannaie. In mezzo troneggiava un grande albero annerito dalla cenere; dai suoi rami rachitici, pendevano sei uomini impiccati con le loro angoscianti lagne. Abbagliato da cotanta follia, Riccardo si avvicinò al tronco. Due occhi verdi saettarono nella sua mente sino a penetrargli l’anima, per infine mostrargli l’istante vissuto dalla figlia tra la vita e la morte.

*

La fanciulla, giunta al crepuscolo, sentì la vampa della vendetta afferrarle il cuore. Fu allora che gli Abissi decisero di conversare con la sua essenza. Toni caldi, profondi, suadenti.

«Donna vuoi vivere o morire?»

Con un filo di voce, lei replicò:

«Vivere».

«E sia. Ma attraverso la tua vita, noi porteremo l’inferno sulla tua terra.»

Sara tacque. L’ombra di una mano buia le sfiorò il ventre.

«Una nuova creatura scorre dentro te.»

Quella sentenza dette fiato ai desideri della donna.

«Vorrei tanto vederla…»

«E potrai. Ma da ora, sino alla fine dei tempi, apparterrà alla nostra Volontà. Sarà la nostra Mietitrice.»

Ancora una volta, l’anima di Sara non obiettò. Sazi per quello scambio, gli Abissi estrassero da lei la forma di un nuovo essere: una bimbetta bionda con gli occhi azzurri. Sara la contemplò per un attimo; rise a fior di labbra.

«Sei come ti ho sempre sognata.»

Il sogno di una madre divenne incubo eterno. Il passato perì nelle tenebre.

*

E mentre dal plumbeo cielo precipitavano candidi petali anneriti disciolti in lugubri stille di sangue, la figlia del peccato volteggiava allegramente in quell’inferno. Le piccole sagome dei sette priori, soffocati da una collera infinita, oscillavano col cappio al collo, dimenandosi come nudi, neri, sacchi di carne vuota tra quei rami, con le loro coscienze divorate dal fuoco punitore. E Riccardo rantolava, appeso al ramo centrale; la bimba sorrise, poi esclamò:

«Allora nonnino, ti piace questo gioco?».

Ti piace scrivere? Hai un racconto nel cassetto?
Inviacelo a aurora.redville@shmag.it. I migliori saranno pubblicati in questa rubrica

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