Io Racconto: “Hanno spento la Luna” di Samanta Giambarresi

Foto Saketh Garuda | Unsplash

Bentrovati amici lettori,

per il nostro appuntamento di #ioraccontoaSH vi propongo il racconto di una scrittrice siciliana, lei si chiama Samanta Giambarresi e dalla sua penna è venuta fuori una storia che sa di infanzia, di sogni, d’estate e vacanze. Mentre leggevo le sue parole ripensavo alle mie estati spensierate di quando ero bambina, l’infanzia uno dei periodi più belli della vita trascorsi nella mia amata terra.

Samanta Giambarresi è rimasta nella sua Sicilia infatti vive a Catania dove ha conseguito la laurea in filosofia e ha frequentato diversi stage nel mondo editoriale. 

Nel 2006 inizia a collaborare con riviste letterarie e nel 2008 pubblica il suo primo romanzo, Intimo nero con Merletti e Frati, seguono altri racconti e due romanzi, L’una è l’altra e L’ultima lucciola. Nel 2013, per un progetto sulla toponomastica femminile, cura la biografia di Maria Nicotra Fiorini.

Il suo ultimo romanzo Come bolle di sapone è disponibile su Amazon.

Le sue passioni, oltre che i classici, sono la musica e il teatro. 

Per la scelta della colonna sonora ho pensato a un pezzo dei Shivaree – Goodnight Moon, li ho visti in concerto a Milano ai Magazzini Generali molti anni fa, canzone bellissima che ha fatto anche da colonna sonora a Kill Bill vol. 2

Vi auguro buona lettura
Aurora Redville

Hanno spento la Luna

di Samanta Giambarresi

L’estate per me e per il mio fratellino era il momento dell’avventura.

Smessi i panni di scolari che si arrabattano tra compiti, catechismo, lezioni pomeridiane, a giugno mandavamo tutto a quel paese, stavamo gli ultimi giorni in città tra il caldo, il carretto della granita al limone e del gelato del “gusto non gusto” e poi, finalmente, ci trasferivamo nella casa al mare.

I nostri genitori avevano acquistato una casa con delle potenzialità ma la situazione iniziale non era delle migliori. Dopo una lunga ricerca avevano trovato un’abitazione che ancora era incompleta, in una contrada marittima molto spartana, con le strade non ancora asfaltate e il mare si scorgeva solo dietro a una collina. Il fabbricato era composto da una camera al piano terra più due pareti ancora rustiche, forse, chi aveva progettato la costruzione, pensava di farne un’altra stanza o ancora una veranda; mentre, al piano superiore, si trovavano due vani. A completare questo progetto bizzarro era una scala costruita in mal modo che sembrava proprio stonare con tutto il resto, come se fosse stata appiccicata con della colla a stick. Per farvi capire meglio, immaginate le scale che si costruivano da bambini con i mattoncini dei lego, quelle scale tutte sbilenche che venivano giù con un colpo brusco o appena cercavi di far salire su la Barbie. Tutte queste particolarità elencate rendevano la nostra casa al mare buffa agli occhi dei passanti, vicini e parenti che la etichettarono “palafitta”, anche se le palafitte non hanno piani inferiori, ma la cattiveria gratuita spesso è ignorante.

Io e mio fratello passavamo le giornate in bici. Gironzolavamo tra colline e campagne. Nella zona c’erano tante case coloniche semiabbandonate ma i terreni venivano ancora coltivati con pomodori o meloni. Le campagne erano piene di serre. Noi eravamo sempre con i piedi sporchi (un classico in estate per i bambini tenere i piedi sporchi anche dopo aver fatto il bagno), le ginocchia sempre sbucciate (ho ancora la cicatrice di una ferita perenne), i vestiti zuppi di acqua o sudore. In quel luogo c’era una fontana e uno stagno. Restavamo a guardare incantati girini, rane e bisce e alle volte ci bagnavamo nella fontana. Tutto questo quando non eravamo in spiaggia.

La sera restavamo nei dintorni. Scoprii in quel periodo un fiore che trovai bellissimo, bianco con gli stami violacei. Volevo raccoglierlo ma non feci caso alla piantina che vi era accanto, dai fiori gialli e i frutti a palla verde, li sfiorai col braccio mentre cercavo di raccogliere il fiore e la palla esplose sporcandomi con il suo liquido. Che paura! Scoprii dopo che il fiore è una pianta molto apprezzata al sud, chiamato Capperi di Pantelleria mentre il frutto che esplodeva è conosciuto con il nome di Cocomero Asinino. Ma in quel momento per me il primo era un fiore bellissimo, il secondo una cosa orrenda tanto da starci lontana tranne che per far vedere agli altri bambini quanto fosse pericolosa: ci posizionavamo vicino la piantina e iniziavo a lanciare pietre per fare esplodere i frutti, quando ci riuscivo, i bambini scappavano.

Spesso, da dietro la collina, all’imbrunire, iniziava a venir su la luna come un disco rosso e luminoso e noi ci fermavamo ammirandola e notando il mutamento che faceva da grande disco a dolce sorriso.

Una mattina, mentre aspettavamo di andare al mare, inforcammo le bici per un giro veloce e fu lì che la notammo. Una grande mezzaluna scura sopra a quello che ricordo essere un grande camion. Mio fratello mi urlò. ‹‹Hanno spento la luna!›› e iniziammo a correre per raggiungere il camion e scoprire cosa ci facessero con la luna. Correvamo come pazzi per raggiungere il camion mentre mille domande ci passavano nella mente. Perché mai spegnerla e poi, come diavolo avevano fatto a prenderla dal cielo? La luna, questo lo sapevamo, era troppo lontana da noi; a scuola ci avevano spiegato che i numeri sono tanti, tantissimi da qui fino alla luna, quindi questi individui come erano riusciti a raggiungerla?

‹‹Forse l’hanno tirata giù con delle corde lunghissime›› mi suggerì mio fratello, quando ci fermammo per capire quale scorciatoia prendere per raggiungere i ladri mentre quel mezzo si allontanava sempre di più da noi.

Cosa avrebbero fatto della luna? E come sarebbe stato il mondo senza luna? Già qualcuno si era accorto del furto? I poliziotti stavano indagando? Ne avrebbero parlato in tv?

Furono minuti importanti, pieni di emozioni. Dovevamo chiamare i nostri genitori, riferire quello che avevamo scoperto, farci aiutare. Saremo diventati famosi, i giornali e la tv avrebbero parlato di noi.

Ma quel momento magico durò un attimo, tempo che la ragione mi raggiungesse mentre i nostri genitori ci urlavano di tornare per andare in spiaggia. Perché ero la sorella maggiore e sapevo qualcosa in più e quel che non sapevo lo intuivo. Mi spiaceva tanto disilludere un bambino e le sue fantasie, ma non volevo mentirgli. Quindi guardai mio fratello e gli dissi la verità:

‹‹Non è la Luna, sono archi, servono per montare le serre!››.

Samanta Giambarresi

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Inviacelo a aurora.redville@shmag.it. I migliori saranno pubblicati in questa rubrica

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