“La rabbia. Analisi di cinque casi di violenza” di Rosalba Trabalzini analizza l’istinto dell’aggressività da prospettive molteplici: l’autrice, psichiatra con alle spalle decenni di attività, si concentra sulla violenza contro le donne stando però lontana dai facili moralismi e da pericolose generalizzazioni, e si occupa di questa piaga sociale andando a rintracciare le origini genetiche ed epigenetiche della rabbia.
Il punto focale della dissertazione dell’autrice risiede nel discorso relativo alla prevenzione: piuttosto che categorizzare le forme di violenza, piuttosto che prevedere nuovi modi per punire tali crimini, ciò che in primis conta è educare le famiglie e la scuola a crescere bambini consci di avere una parte aggressiva dentro di sé – retaggio primordiale, che ci ha impedito di soccombere ai pericoli incontrati durante il nostro cammino di evoluzione – e a orientarli verso una gestione sana di essa. Si deve quindi cambiare il paradigma: piuttosto che sulla fase repressiva, bisognerebbe concentrarsi sull’azione preventiva di educazione.
Dalle parole dell’autrice: «Quello che bisogna stimolare non è la sensibilizzazione o l’attivazione di leggi più severe verso chi commette violenza sulle donne, ma sensibilizzare, e quindi stimolare, i genitori a mettere in campo un’educazione più responsabile verso i figli maschi e, soprattutto, meno vincolante e legata all’antico ruolo dell’angelo del focolare domestico e di sottomissione delle bambine».
Dopo aver introdotto l’argomento andando anche a spiegare scientificamente come si origina il fenomeno della rabbia all’interno del nostro cervello, Rosalba Trabalzini presenta i cinque casi di violenza che ha selezionato quando ha lavorato in un istituto penitenziario: la psichiatra ha seguito personalmente i cinque uomini presi in esame, e li ha sottoposti a terapia e a test psicologici, come il test dell’albero di Karl Kock, il test dell’autoritratto del Machover e il test della famiglia ideale. E soprattutto ha permesso loro di parlare della propria infanzia, e delle esperienze fondanti e traumatiche che hanno vissuto in quegli anni.
Questi uomini hanno tutti praticato violenza contro le donne: Estanoff e Aureliano non sono riusciti nell’intento, se era quello il loro scopo, di uccidere la propria compagna, mentre Massimo, Salvatore e Angelo hanno purtroppo commesso uno o più omicidi in cui le vittime sono state delle donne. Infine, per concludere con un pizzico di positività, l’autrice analizza quattro casi in cui si è evitata la violenza grazie alle richieste d’aiuto che sono arrivate sia dalle potenziali vittime che dai possibili carnefici, i quali hanno avuto la lucidità di capire che dovevano essere fermati prima di compiere l’irreparabile.