Io Racconto: “Il mio ingombrante soppalco” di Barbara Aversa ‘Missparklingbooks’

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Bentrovati amici lettori,

per il nostro appuntamento di #ioraccontoaSH vi propongo la terza parte dei racconti già pubblicati “La mia candida cucina” e il “Il mio impeccabile salotto”, storie dal sapore noir da leggere seduti sul divano di casa o sul terrazzo in queste tiepide giornate autunnali, perché soprattutto in questo momento abbiamo bisogno di una bella storia.

L’autrice si chiama Barbara Aversa “missparklingbooks”, è una giovane insegnante di un Liceo Scientifico romano. Ama scrivere da quando era bambina e all’età di sedici anni ha pubblicato il suo primo racconto in un’antologia dedicata agli emergenti. Da sempre scrive e collabora presso un noto quotidiano del litorale romano; ha realizzato interviste per riviste dedicate ai più giovani, e scritto recensioni di libri. Qualche anno fa ha vinto il premio letterario Subway arrivando prima su Roma con il racconto introspettivo Diario di una ragazza. È molto attiva con la sua pagina Ig @missparklingbooks che raccoglie migliaia di follower, e collabora con thrillernord.it in modo particolare con autori esordienti.

Per creare l’atmosfera giusta per la lettura, suggerisco un brano dei mitici Pink Floyd – Wish You Were Here

Io vi auguro buon week end e a presto con un’altra storia, un altro genere.

Buona lettura
Aurora Redville

Il mio ingombrante soppalco

di Barbara Aversa ‘Missparklingbooks’

16 marzo 2021

È una luminosa mattina di metà marzo. Quelle scissioni perfette, che rasentano la compiutezza.

È il mio mese preferito, l’aria diviene tiepida, illumina di luce cruda i vicoli romani, il gelsomino graffia le narici pungendole con la sua inconfondibile fragranza. Passeggiare per la mia città negli ultimi mesi riesce a calmarmi. Percorro lunghissimi tratti, perdendomi nei pensieri, senza tralasciare ovviamente le mie incombenze di moglie. Ma Fabio lavora sempre più ore, e la solitudine a volte è desolante. Sono passati altri due anni dal nostro matrimonio, a volte mi sembra che mi legga dentro, mentre altre volte inclina la testa e socchiude leggermente gli occhi. Ecco, in quel rapidissimo fremito penso che lui non riesca a capirmi. Sono dei lampi, ma accade. Perché il mio immaginifico vasto mondo interiore è sempre più pressante ed a volte incontenibile. Comunque non devo preoccuparmi, ormai non temo più che lui possa leggermi davvero i pensieri.

Sono diversi giorni che attraversando Roma arrivo ad un ritrovo universitario, così entro, mi siedo e mi metto a scrivere. Sembro una trentenne come un’altra, e tutto pare così lontano, ed offuscato. Allora prendo un caffè americano e scrivo. Sono tanti foglietti diversi per fare in modo che io li possa nascondere nel soppalco. Sono pensieri miei, sono inaccessibili, non voglio che in alcun modo vengano violati. Mentre ascolto Sia e continuo a scrivere forsennatamente, due ragazzi si siedono al mio stesso tavolo, discutendo di fantacalcio. Infastidita ruoto leggermente il busto per essere certa che nulla venga letto di ciò che sigillo sulla carta. Sento però posarsi pressante e sfacciato lo sguardo di uno dei due, senza mollare la presa. Sollevo leggermente il mio ovale, i miei occhi sembrano sgranati dalla paura ma in realtà sono solo confusa. Non è frequente che qualcuno mi si avvicini, credo che le persone percepiscano in me qualcosa di inadatto, di confuso, qualcosa che proviene dal profondo, e che atterrisce nonostante il mio aspetto attraente.

Ora sono io ad inclinare la testa, il ragazzo muove le labbra ma questa sensazione inedita ed inaspettata mi lascia sgomenta.

Sta provando ad avvicinarsi? Sta provando davvero a conversare con me? Raccolgo tutti i post-it e lo guardo, scoraggiandolo con gli occhi. Ah, non sa quanto dovrebbe sentirsi scoraggiato. Invece blatera e blatera e si siede vicino. Certo la forma delle labbra è davvero inconsueta, e gesticola moltissimo quando parla. Indossa un dolce vita bianco a trecce anche se è marzo e l’aria è tiepida. Studio qua? Sono una studentessa? Non so cosa rispondere alla valanga di domande che mi avvolgono. Si avvicina anche il suo amico, non posso evitare di stringergli la mano. Si sono una studentessa ma ho orari particolari, devo tornare a casa presto perché mi prendo cura di qualcuno. In genere questo basta ad allontanare altre domande. Invece sfrontato treccebianche mi chiede di chi. L’atmosfera si alleggerisce, il suo amico uomospallabeta prova a sostenercinella conversazione ed alla fine sorrido. Appena lo faccio treccebianche mi accarezza il volto, ed è così fulmineo che non riesco a dire o fare nulla. Ci osserviamo entrambi sorpresi dalla forza di quel contatto, che come una scossa avesse dominato tutto il mio corpo, ed a quanto pare anche il suo. Con la punta delle dita affusolate percorre il profilo del mio volto mentre io accigliata mi chiedo cosa sia questa sensazione mordace che mi attanaglia le viscere e mi serra la gola. Prendo le mie cose e vado via ma prima su un angolo di un mio post-it il suo amico ha scritto un numero di telefono. Mi osserva le scarpe. Altissime, tacchi vertiginosi.

“Perché porti scarpe così per venire in facoltà?”

“Perché sono strana.”

“Ah, questo lo vedo. Menomale che lo sei. Ci vediamo domani. E non scordare i tuoi appunti di… cucina?” me li porge osservandoli.

“Si, scrivo di cucina, ricette, cose così”. Mi sorride ed io vado via.

Mi tremano le gambe. Le difficoltà sono diverse. Intanto Fabio non avrebbe una reazione tanto civile. Inoltre treccebianche sembra più fuori del mondo di me.

E terzo, penso di non essermi mai sentita così avvolta in uno sguardo in tutta la mia vita.

Neanche una.

È tardi ed oggi è la giornata della cena messicana, quindi corro verso casa, e mi sento così strana, come se non riuscissi a pensare ad altro. E se in quel caffè fossimo stati soli? E se invece che rimanere impassibile sotto quelle dita morbide avessi reagito? Se avessi accompagnato i suoi movimenti, se avessi dischiuso le labbra, se avessi chiuso gli occhi? Brividi raggianti ed inusuali. Scenari di multiple possibilità; ventagli di ipotesi si espandono e disgregano improvvisamente come minuscoli tasselli di un puzzle che non posso ricomporre perché non ho la figura di insieme.

A cena nel mio impeccabile tubino nero attendo di consumare il mio pasto perfetto. Solo in quel momento, quando tutto è pronto mi accorgo che Fabio è decisamente in ritardo, ed io ho ancora delle scarpe altissime a slanciarmi le gambe esili. Con un passo indietro scendo dai trampoli con l’intenzione di scrivere a mio marito, che nel frattempo ha già avvisato di un notevole ritardo causa lavoro.

Un balzo improvviso mi fa correre nel soppalco, dove avevo dimenticato di nascondere gli ultimi “foglietti raccogli pensieri”. In quel momento mi accorgo del numero di telefono e lo infilo in un libro. In genere è uno spazio dove Fabio non entra mai, ma meglio fare le cose per bene. Seppellisco tutto tra vecchissimi libri di cucina e riscendo, spilucco la salsa di avocado, ovviamente esemplare, e mi verso un bicchiere di vino.

Ma quanta potenza può esserci in una misera frazione di secondo?

Quando mio marito torna a casa ho finito il secondo calice, ho fatto sesso nella mia mente circa sette volte con treccebianche e sono senza scarpe, immobile nel mio soggiorno perfetto.

17 marzo 2021 Le luci filtrano le tende tagliando in piccole parti tutti i miei sogni ovattati e confusi.

Fabio è già operativo, lo sento muoversi e prepararsi per l’ufficio. I miei occhi appannati lentamente si schiudono, e mi accartoccio tra le lenzuola mentre si sgrovigliano tutti i pensieri. Mio marito entra, mi bacia la fronte e mi ricorda di passare in lavanderia, poi domanda se anche oggi mi dedicherò alle mie lunghe camminate per Roma. Devo mantenermi in forma, sorrido imbarazzata. Fa attenzione, mi dice una vocina, me lo ripete.

Fa attenzione.

Appena lo sento uscire mi precipito giù dal letto ed indosso la cosa più informale che mi sembra di avere ma in realtà l’effetto è comunque esagerato. Un top-lingerie che sembra eccessivo e metto sopra una giacca leggera. Cerco delle scarpe più basse ma non ne ho. Mi trucco e sono pronta ad uscire. In quel momento suona il telefono ed è nuovamente Fabio. Rispondo disinvolta, mi chiede di preparare un piatto davvero particolare per cena. Ma non ho così tanto tempo quindi provo a contrattare per il giorno dopo a causa della mancanza di ingredienti ma raggiungiamo il compromesso di un arrosto. In realtà quando attacco mi trema la mano ma respiro ed esco di casa. Continuo a respirare finché arrivo in caffetteria, e ripeto la solita scena.

Passa circa mezz’ora quando finalmente lo vedo arrivare. Mi rendo conto che lo stavo aspettando, e lo stomaco mi si incastra nella gola. Quando si siede al mio tavolo chiamandomi Catherine Earnshaw so che è finita, non posso tornare indietro. Mi spiega che il cellulare è del suo amico perché è uno sciocco e usa fare così, una sorta di Barney Stinson e così viene chiamato da tutti. Sembra come se avessimo saltato ogni presentazione e fossimo la a parlare da anni. Il tempo sembra correre velocissimo e nello stesso tempo essere statico ma fluttuante. Sono passate quattro ore credo, siamo al terzo caffè e vorrei raccontargli tutta la mia vita. Beh, ovvio, non proprio tutta. Qualcosa diciamo. Mentre parliamo mi accarezza le braccia, mi fissa negli occhi, mi sposta le ciocche ribelli dei capelli che gli impediscono di avere il mio viso completamente a disposizione dei suoi occhi intensi e brillanti. Allora mi domanda a cosa sto pensando.

A cosa penso. Già a cosa penso. Lo so a cosa penso. Osservo l’incavo del suo collo stavolta scoperto, un ciuffo che è sfuggito al pettine, il maglioncino écru stavolta più leggero, la manica abbassata fino a coprire metà del palmo della mano sinistra, la piega delle labbra che lo fa sembrare giovane, forse più di me.

E vedo Roma che mi avvolge nei suoi colori nitidi ed offuscati, le caffetterie, gli angoli da scoprire, e risuonano le nostre parole, l’incastro delle nostre menti e dei nostri vuoti. Due vuoti insieme però non vanno bene, mi disse tanti anni fa un amico, quando ne avevo. Due pieni fanno una catastrofe ma due vuoti fanno un buco nero.

Tutto questo scorre come quelle diapositive veloci di quando ero piccola, e rincorrevo la palla inciampando tra le mie stesse gambe. Ora non inciampo più, prendo fiato cercando di catalogare ogni singolo desiderio che emerge da ogni cavernoso aspetto di me, e scivola ancestrale e viscerale lungo la spina dorsale, attraversa i seni appuntiti, facendomi perdere quella lucidità che mi ha sempre caratterizzata. E niente, prendo ancora qualche secondo.

Baciami.

Certo non si fa attendere.

Ed è così incredibilmente banale ciò che è accaduto, eppure sono stata assorbita all’istante da lui, da noi, come se non avessi mai dato un bacio in vita mia.

Le labbra umide, incastrate, saliva e pudore, sensi di colpa e tormento, desiderio e timore. Quella conoscenza viscerale improvvisa che illumina e lentamente tutto diviene liquido e sfocato, e sempre più oscuro, bloccando secondi, momenti, ore ed anni. Lame trafiggono la carne di fremiti e bloccano i pensieri finché non diventa tutto incontenibile e mi afferra per mano ed io lascio tutto sul tavolo, mentre con i tacchi annaspo per stare al suo passo veloce e trascinante fino ad una sala buia dove mi appoggia al muro mentre l’urgenza si mischia ad inconsapevolezza ed incoscienza ma anche ad una necessità incontrollabile.

Mentre torno a casa mi tolgo le scarpe. Continuo a ripensare a ciò che è successo, a come sia potuto accadere, e mi sfioro le labbra gonfie e ricordo ogni istante, ogni fruscìo, dimentico tutti questi anni di perfezione e mi sento così perdutamente imperfetta che quasi mi commuovo di me stessa.

Okay niente panico ma la cena non è pronta. Neanche io lo sono, mi precipito sotto la doccia pensando al numero di telefono di treccebianche che ho imparato a memoria per evitare di scriverlo da qualsiasi parte.

Continuo a ripeterlo sicura della mia eccellente memoria mentre l’acqua calda mi accarezza i fianchi, le gambe affusolate, i capelli e tutto per un solo istante sembra così poetico. E veloci frammenti del pomeriggio mi trafiggono la mente, potentissimi, lucenti, feroci.

Quando esco dalla doccia avvolta da un perfetto telo immacolato, mi accorgo che Fabio è già tornato.

“Piccola, hai mai amato How I Met Your Mother?”

Questa domanda è talmente confusa e nel contempo indicativa che mi guardo intorno cercando un qualsiasi suggerimento possa provenire da ciò che osservo. Eppure è tutto identico, il solito pendolo batte i soliti secondi, oltre la mia finestra Prati brilla attraversando con la sua luce schietta il lungotevere, che placido ed incosciente accompagna con il suo mormorio strascicato la mia disfatta.

“No, preferivo Friends”, rispondo mostrandomi serena. Ma lui sa che non lo sono.

Si avvicina, mi accarezza i capelli, i miei occhi sgranati si voltano per evitare qualunque contatto, ma già lo so.

Io so.

“Devo finire di sistemarmi per la cena se non ti spiace, oggi sono molto in ritardo. Mi asciugo e arrivo.”

“Certo – si allontana delicatamente – volevo dirti che nel soppalco era pieno di ricette. Non so per quando ti servono.”

Muoviti piano mi dico. Lentamente, come se non ci fossero pericoli.

Appena sono di nuovo in bagno accendo il phon e la memoria sta per incastrarmi eppure dopo un paio di errori compongo il numero corretto.

“Ehi sono io” la voce mi trema, un paradosso. La nostra prima telefonata mi attanaglia di emozioni trascinanti e deflagranti, mentre il terrore assurge a desiderio e poi torna terrore.

“Ehi, è successa una cosa terribile a Barney, non so neanche trovare le parole, possiamo vederci?”

“No, fai silenzio ed ascoltami” cerco di essere ferma, la voce bassa ma chiara, attutita dal phon che spero copra qualunque bisbiglio. Ed il cuore in gola perché la sua voce mi fa impazzire anche in questa esplosione di disperazione malcelata.

“Tu non mi devi cercare mai più. Io ho una situazione molto particolare e credimi se ti dico che la cosa migliore è che tu mi lasci stare. Posso essere davvero… pericolosa. Io non so cosa sia successo al tuo amico ma ho una situazione davvero complessa. Non posso assolutamente perdere tempo con te. Mi hai capita”?

“Beh non molto in realtà. Ed oggi?”

Già, oggi. E ieri? Mi tremano le mani mi avvolgo sempre di più nel telo e mi scopro a terra tremante con delle parti di me stessa squarciate da invisibili tagli netti e definiti. Così come sicuramente sarà accaduto al povero Barney, quindi non ho molta scelta.

“Ora devo partire quindi non mi cercare più per favore. Mi hai capito?”

Qualche secondo di silenzio per capire che aveva riagganciato.

Resto immobile. Tolgo la sim dal cellulare e la faccio a pezzi con le forbici finché diviene inesistente ai miei occhi.

Fabio mi fa sobbalzare bussando alla porta del bagno.

“Tutto bene amore? Ti ho portato un bicchiere di vino.”

Prendo fiato. Non è così terribile in fondo. Abbiamo passato di peggio. Io ho passato di peggio. Sono stata poco lucida per qualche istante ma due vuoti provocano solo un baratro ed io non ho bisogno di abissi.

Un grande sospiro, mi sfioro ancora le labbra brucianti. Va bene così. Andrà bene.

Esco dal bagno e prendo il vino fruttato che mi porge Fabio, mi accosto al suo petto.

“Come potrei mai fare senza di te?”

“Piccola perché mai dovresti. Dai sistemati, giornata intensa andiamo fuori a cena”.

Sorrido grata e mi sfiora la guancia.

“Vuoi mettere delle sneakers? non sei obbligata a portare sempre tacchi altissimi.”

“Ma ti pare – inclino la testa – tra dieci minuti sarò ineccepibile, come sempre.”

Mi sorride compiaciuto, accarezzandomi delicatamente la schiena, fissando i miei occhi lucidi, e sussurrandomi all’orecchio che non ne ha mai avuto il minimo dubbio.

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