Bentrovati amici lettori,
per il secondo appuntamento di #ioraccontoaSH vi propongo una storia che se fosse stata pubblicata qualche mese fa si sarebbe classificata nel genere distopico; invece mai come oggi potrebbe essere più attuale. Non manca il pizzico d’ironia che contraddistingue Diego Cabras autore di origine sarda che vive in toscana; il suo romanzo d’esordio “Never Never” è stato pubblicato da Bookabook.
Come sempre vi suggerisco la colonna musicale per la lettura: Natural Blues di Moby e io vi do appuntamento a venerdì prossimo con un nuovo racconto.
Buona lettura
Aurora Redville
Brum Brum
di Diego Cabras
12 Luglio 2020
Uff, che noia!
Ho finito la mia routine, ho passato per bene tutti i pavimenti di casa ma ormai è una faccenda pallosissima, mi son ritrovato a cercare ogni singolo granello di polvere. È diventato sempre più difficile e pulire sul pulito non è che sia proprio divertente, ma d’altronde è il mio lavoro e ci ho sempre tenuto molto che gli umani mi considerassero all’altezza della situazione.
Già, gli umani. Sono giorni e giorni che non li vedo più giro per casa, quasi un mese per l’esattezza. Succedeva anche prima che qualche volta mi toccasse pulire casa da solo, ma poi tornavano sempre; anche quando andavano in vacanza restavo abbandonato a me stesso a lungo… ma mai così tanto!
Nonostante tutto non riesco a smettere di fare il mio lavoro (e se tornassero all’improvviso?), anche perché io sono il re dei robot aspirapolvere, lo diceva anche la pubblicità!
La mia famiglia di umani è sempre stata felice e soddisfatta del mio lavoro, mi consideravano quasi uno di famiglia, tanto da darmi pure un nome: sul mio dorso infatti c’è un adesivo con scritto Brum Brum fatto per me da Ilaria, la figlia più piccola… e io ne vado fierissimo!
Il capofamiglia ha attaccato la mia base caricabatterie ad un pannellino solare che guarda fuori dalla finestra, così posso andare a caricarmi da solo ogni volta che ne sento il bisogno; sono proprio un robot fortunato, però in effetti mi mancano.
Sto passando e ripassando il salotto per l’ennesima volta, evitando con cura la bambola rimasta sotto il tavolino da fumo mentre rendo il parquet più lucido che mai, quando decido che più pulito di così non è possibile. Controllo lo stato della mia carica e vado verso la porta che dà sul giardino, mia unica soddisfazione. I primi giorni mi infastidiva, perché quei pasticcioni l’hanno lasciata socchiusa, faceva entrare molta polvere e oltretutto mi impediva di raggiungere un angolino del battiscopa. Oggi invece è la mia migliore amica perché mi dà l’unica possibilità di rendermi davvero utile, pulendo ciò che entra da fuori!
Basta, qui non c’è più nulla da fare. Torno in cucina e mi piazzo sulla mia base in attesa di ricominciare domani tutto da capo.
13 luglio 2020
Ah, che bella giornata! Sono appena le sei e mezzo del mattino ma il sole entra già prepotente dalle finestre di cucina. Mi sento energico e decido di andare subito a lavorare; scendo dal mio caricabatterie e comincio rotolare di qua e di là cercando di cogliere ogni pur minimo segno di sporco ma, una volta che ho passato anche il salotto, mi rendo conto che non c’è più niente da fare e la giornata è ancora all’inizio. Mi mancano i miei umani, e soprattutto mi manca Ilaria con cui giocavo spesso. Ricordo benissimo quando faceva finta che fossi una boccia da curling, passandomi davanti in modo frenetico la scopa lungo il corridoio e ridendo come una matta.
Basta!
Sono davanti alla porta a vetri socchiusa e realizzo per la prima volta che se mi infilo nel pertugio e spingo forte potrei aprirla ancora di più. All’improvviso una incredibile frenesia mai provata prima mi prende: comincio a spingere come un pazzo, il mio motore elettrico ronza come impazzito e le mie ruotine di gomma scivolano sul parquet lasciando sicuramente un’orrenda traccia nera. Il mio cervello robotico registra questi dati con orrore, ma continuo nonostante tutto a spingere, come trascinato da una forza più grande e potente di me.
L’uscio dopo qualche secondo inizia a muoversi; un millimetro alla volta ma lo sento che inizia a muoversi. Il pertugio si allarga con una lentezza esasperante e io spingo, spingo, mentre sento il motore che si surriscalda per lo sforzo. Se avessi dei denti ora li digrignerei.
All’improvviso la porta acquista abbrivio e accelera aprendosi sempre più veloce e incontrollata. Io, lanciato al massimo della mia velocità, non riesco a frenarmi e finisco giù dalla soglia, nel cortile che ho sempre visto ma che non ho ma potuto visitare!
Sbam! Cado sul cotto e per fortuna non mi ribalto. Riprendo fiato qualche secondo e poi comincio a ruotare su me stesso per guardarmi intorno. Ma quanta bella sabbia qui in cortile! Evidentemente i giorni scorsi ha tirato vento di mare e dalla spiaggia è arrivato un po’ di tutto. Mi metto a ronzare felice su e giù finché non ho ripulito tutto; a quel punto guardo con intenzione il cancelletto di legno bianco spalancato e, senza pensarci su due volte, mi fiondo in strada.
Basta. Capisco la serietà e la fedeltà ma i miei umani sono scomparsi da troppo tempo; è ora che mi cerchi un nuovo padrone e sono sicuro che girando per le strade troverò un sacco di gente e certamente anche qualcuno desideroso di adottare un magnifico esemplare del miglior robot aspirapolvere in circolazione.
Mi avvio tutto speranzoso e, appena varcato il cancello, un vero Paradiso si apre davanti ai miei sensori: una stradina stretta, di asfalto, con un lato punteggiato di villette a schiera, l’altro delineato da ciuffi di erba e subito oltre, una spiaggia di sabbia bianchissima. Quintali, che dico, tonnellate di sabbia da aspirare e ripulire: anni e anni di lavoro assicurato per un fanatico del lavoro come me! Ora non mi resta che cercarmi un nuovo padrone: mi guardo in giro e cerco di ruotare su me stesso, ma una delle ruotine si è incastrata in qualcosa. Guardo in basso e vedo un rettangolino di tela celeste con degli elastici ai lati, ecco cosa mi blocca. Ricordo che, negli ultimi giorni a casa, li usavano anche i miei umani e le chiamavano mascherine; risvegliatomi dall’estasi per la sabbia mi guardo intorno con attenzione e per la prima volta mi rendo conto.
La strada è tutta costellata di mascherine e guanti di gomma; la spiaggia deserta risuona di grida di gabbiani, per il resto un silenzio tombale… di umani neanche l’ombra!
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