Io Racconto: “Sempre insieme” di Antonino Trovato

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Bentrovati amici lettori,

per il nostro appuntamento di #ioraccontoaSH vi propongo un nuovo racconto dell’autore Antonino Trovato; è sempre piacevole leggere le sue storie, una cosa che apprezzo molto nel suo modo di scrivere è l’aspetto emotivo che caratterizza i suoi personaggi.

Persone comuni, capaci di vivere sentimenti profondi, alle volte vite disperate, ma non c’è dubbio che è anche una caratteristica della vita di tutti i giorni. Antonino ti fa entrare nelle vite degli altri con grande naturalezza, e anche se queste storie possono avere un finale che lascia l’amaro in bocca, forse ci fa riflettere su ciò che abbiamo di più prezioso, almeno questo è il messaggio che ho ricevuto io. Per la lettura del racconto vi propongo un brano di David Garrett – Io Ti Penso Amore ft. Nicole Scherzinger.

Se ancora non conoscete ecco una breve biografia dell’autore: Antonino ha abbandonato la sua Sicilia per abbracciare la bella Trieste, dove adesso lavora e cerca di costruirsi un futuro. Nel frattempo, continua a progettare sogni di scrittura: due fantasy su cui lavora da tempo. Il progetto più grande si intitola “Cronache di una Sognatrice”, un fantasy onirico, e poi anche un fantasy dal sapore manga/style, ossia “Due sorelle, Un destino”. E nel mentre, accumula letture che pian piano cerca di assaporare con grande passione, preferendo il fantasy, il thriller e l’horror.

Buona lettura
Aurora Redville

Sempre insieme

di Antonino Trovato

Josh guardò la sua cupa espressione attraverso la specchiera dell’armadio in camera da letto. Stava vivendo un periodo duro, ricco di delusioni: la disoccupazione, tanto per cominciare, giunta come un fulmine a ciel sereno; il libro — frutto di logori sacrifici imbevuti di sogni — è invece naufragato nella mediocrità e nelle copie invendute. L’immagine di sé si smarrì nel riflesso abbagliante di memorie divenute ormai echi lontani fagocitati dal tempo. Il profumo della speranza di una vita migliore adesso, era legata al puzzo di una putrida rosa nera intrisa di infelicità, la stessa delle urla furibonde della moglie Joan. L’uomo subì in silenzio la voce tagliente proveniente dalla cucina, un suono che, pian piano, divenne sempre più ovattato, quasi fosse lontano chilometri. Seguitò ad ascoltare senza mai replicare, farfugliando parole arse dal risentimento verso un’esistenza giunta ai confini di un abisso opprimente.

«Licenziato! Licen… Ah! Maledetto quel giorno che ti ho sposato, ci hai trascinato in questa situazione di merda! Come facciamo adesso? I soldi… eh, me lo dici da dove li prendiamo? Senza contare quel tuo libro del cazzo! Ma che credevi di fare, eh? Lo sai cosa sei? Un fallito! Un fallito del cazzo!»

Ad ogni epiteto di rabbia e frustrazione lanciato contro il muto marito, un piatto finiva la sua sussistenza sul pavimento, in frantumi, proprio come una relazione destinata a non avere futuro. Quelle sfuriate duravano oramai da tempo. Margareth, la figlia di appena cinque anni, non mollava mai il padre mentre la moglie lo insultava. Stava in silenzio, coi suoi boccoli bruni che le cascavano sulle minute spalle, e fissava corrucciata il volto smorto di Josh. Non sopportava gli strilli della madre e, prigioniera di inevitabili angosce, teneva sempre il pollice in bocca. Lo succhiava avidamente; ogni tanto, impaurita e balbettante, chiedeva al padre:

«Ma perché la mamma ce l’ha con te? Pe… perché u… urla sempre?»

Josh non rispondeva; si limitava ad accarezzarle i capelli e abbozzare un sorriso sbieco: una smorfia racchiusa nel flebile luccichio dei rivoli salati che rigavano le gote della figliola. L’uomo, a dir il vero, le aveva tentate tutte pur di risollevare le sorti della sua famiglia, invano. Le cose, col trascorrere delle settimane, andarono di male in peggio. Quel giorno, infatti, dopo aver buttato al suolo un intero servizio di stoviglie, Joan fece la sua scelta. Quando raggiunse il marito, egli era seduto ai piedi del letto mentre ancora osservava la sua espressione avvilita allo specchio. Lei stava ritta sulle sue gambe, severa, determinata. Stringeva la fede nuziale in un pugno pregno d’ostilità. La gettò a terra: un tintinnio squillante, un rintocco mortificante. Josh alzò la testa e incrociò la fredda decisione della moglie.

«Non possiamo più andare avanti così. Vado da mia madre.»

L’uomo non reagì, sembrava non avere forze. Abbassò lo sguardo e scrutò mestamente la promessa della sposa che giaceva triste sul pavimento, illuminata dal flebile sole d’autunno e imperlata dalle lacrime amare di Josh. Margareth, presente all’ennesima scenata della madre, fece per abbracciare ciò che era rimasto del padre; Joan, con piglio deciso, le afferrò un braccio e la trascinò via nonostante le piagnucolanti resistenze della bimba.

«Tu vieni con me signorina! Non farmi arrabbiare pure tu!»

«Io voglio stare con papà!»

«Niente storie!»

La figlia puntò i piedi; mirando la madre in cagnesco, le rifilò un morso sulla mano.

«Piccola maleducata!»

Margareth ebbe il tempo di abbracciare il padre prima di essere ripresa da Joan a suon di sberle e condotta lontana da Josh.

«Papà, io voglio stare sempre con te…»

«Ti prometto che staremo sempre insieme…»

I raggi penetrati dal balcone sparirono, lasciando che il buio divorasse quegli ultimi sussurri. Solitudine, dolore e rassegnazione colmarono ogni morta felicità; per un istante, Josh chiuse gli occhi, sbuffò e strinse tutte le sue emozioni nella morsa di un pugno. Un’ombra nera avvolse la sua esistenza; il tempo si fermò; l’oscurità inghiottì quella casa. Chiamato da un urlo interiore, ebbe un sussulto, una scarica raggelante. Si alzò; sentì il bisogno di lasciare quel luogo. Così prese la giacca e uscì. Il gelido vento si premurò di salutarlo accarezzandogli la barba incolta. S’avvio verso l’auto biascicando passi lenti e pesanti; nel frattempo, con la coda dell’occhio, intravide la desolazione della strada inghiottita da una spessa coltre vaporosa. Le cose non avevano più colore; i suoni gli parvero prima distanti, fiochi, poi così vicini da strapazzargli i timpani. Entrò in macchina e mise in moto. Ingurgitato da uno scenario annebbiante, procedette in pieno stato confusionale e senza una meta, nessun obiettivo. Dopo alcuni minuti, il bagliore di lampeggianti rossi e blu destò la sua attenzione. La nebbia si diradò leggermente e un poliziotto, munito di paletta in bella vista, bloccò quel viaggio privo di senso. Josh lo vide a malapena ma riuscì comunque ad accostare. L’agente, con fare deciso, si avvicinò al finestrino. Gettò via la sigaretta e formulò la consueta richiesta.

«Favorisca i documenti per favore.»

Le ultime parole furono veri sibili scanditi da una voce profonda e pacata. Josh emise un rantolo di disappunto.

«Allora? Non ho tutta la giornata!» intimò l’uomo in uniforme senza mai alzare i toni.

«Si… va bene… va bene…» replicò l’autista con un filo di voce. Rovistò tra le tasche interne della giacca, ma c’era qualcosa di strano: tutto sembrava sfocato, persino i contorni delle sue mani. Il suo corpo e il mondo attorno a sé, ad ogni movimento e oscillazione, sfumavano in varie gradazioni le proprie essenze più pure sino a confonderne i lineamenti: per un istante, la realtà sembrava avere le fattezze di un’unica entità informe. Josh fissò perplesso il riverbero di sé stesso in quei pezzi di carta che teneva in mano. Il capo vorticava intensamente.

«Ma che mi succede? Io non…»

«Va tutto… bene?» interruppe il poliziotto trascinando ogni sillaba in maniera vistosa. Josh si voltò verso di lui. Dell’interlocutore distinse soltanto un bieco sorriso. Aggrottò le sopracciglia e sospirò; infine, gli porse i documenti. L’agente dette loro un’occhiata e poi, come se nulla fosse, li gettò all’indietro. Patente e libretto si sciolsero come neve al sole. Josh osservò attonito la scena e impallidì.

«Allora, signor Josh Mayer, con i documenti ci siamo. Ha dei problemi in famiglia?» fece il poliziotto con un sorriso beffardo.

«Cos… A lei che importa? Posso andare adesso?» sbottò Josh mirandolo di traverso.

«Decido io quando può andare, signor Mayer» sghignazzò l’agente. Dopo di ciò scomparve nel nulla. Josh era incredulo, senza parole. D’istinto si voltò: il tutore della legge stava già seduto accanto a sé. Ebbe una terribile visione: quel volto che ammirava con stupore era somigliante al suo. Il passeggero ghignava divertito. La sua voce assomigliava più ad un eco straziante in grado di scuotere l’anima di chiunque.

«Mio caro Josh, non puoi andartene così, non è giusto! Hai promesso a tua figlia che non la avresti abbandonata, che sareste rimasti… come le hai detto? Ah, “sempre insieme…” beh, io ti mostrerò la via» e nel dirlo gli sfiorò la guancia sinistra. Non possedeva dita, ma gelidi artigli che sfregiarono Josh dalla tempia sino al mento. Alcuni rivoli purpurei scivolarono sulla giacca, imbrattandola di nettare vitale. In preda al panico, Josh aprì di scatto la portiera e ruzzolò in terra. Strisciò col sedere per un po’, sputando la sua esistenza attraverso lacrime e sangue. Queste, a contatto con l’aria rarefatta, evaporarono in un sol colpo. Quella voce seguitò ad incalzarlo: una vera tortura, una cantilena simile ai rintocchi del vecchio orologio a pendolo che adornava il soggiorno di casa.

«C’è un solo modo per mantenere la promessa e tu lo sai. Prendi il mio “dono” e fa quel che devi. Fallo per te, per la tua famiglia.»

«Chi diavolo sei? Lasciami in pace!»

Josh balbettò ogni lettera gridata nel vuoto di un ambiente ormai evanescente. Tutto scomparve, solo il luccichio di un oggetto tenuto tra mani tremanti lo accompagnava: lo ammirò allucinato, specchiò le sue iridi verdi, poi chiuse gli occhi. Poteva ancora udire il gelido richiamo di quell’essere.

«Ciò che ti ho affidato è l’unica soluzione, amico mio. Verrai abbandonato, rimarrai da solo. Vuoi che ciò accada?»

Josh non replicò. Quella voce non smise di tormentarlo; e intanto risuonava il fulgido stridio di lame metalliche agghindate dal caos di mille ombre danzanti.

«Allora? Che aspetti? Sarete “sempre insieme…”»

«Sempre insieme…» bisbigliò Josh, lo sguardo trasognato.

«Sempre insieme…» ripeté quella voce. L’uomo abbassò il capo, rise, infine annuì. Una tempesta improvvisa gli sconquassò le viscere; risate malefiche rimbombavano lungo la via dei suoi pensieri annientati; conati di vomito impastarono il palato di amara follia. Avvertì la sua mente alleggerirsi nel vuoto di un baratro infinito e il suo astratto fluttuare si concluse dove era iniziato: accomodato ai piedi del letto. In lontananza udì i rimbrotti della moglie verso la figlia. Si issò e poggiò una mano sulla superficie riflettente dello specchio. Osservò un lungo e insano sorriso.

Sempre insieme…

Un mantra carico di pazzia. Specchiandosi nel riflesso dei suoi occhi inumiditi, vide un mare di sangue sciabordare ovunque e le vite dei suoi cari spezzate dal taglio netto di un coltello vorace. Josh tratteneva euforico la lama colpevole, insanguinata. Prima di pugnalarsi al cuore, sorrise e sussurrò:

«Sempre insieme…»

Ti piace scrivere? Hai un racconto nel cassetto?
Inviacelo a aurora.redville@shmag.it. I migliori saranno pubblicati in questa rubrica

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