Ci sono tradizioni che senza la giusta attenzione da parte delle istituzioni si sarebbero perdute.
Una di queste è l’arte della tessitura che in Sardegna ha radici antichissime e rimanda alle donne che sul telaio ci crescevano, con il compito di creare tutto ciò che potesse servire per la vita domestica.
A raccontarci questa storia è Wilda, la presidente della cooperativa mogorese tutta al femminile Su Trobasciu.
La cooperativa nacque nel 1978 da un progetto della Regione Sardegna volto a tramandare i saperi della tradizione artigianale isolana attraverso la nascita di imprese locali.
Per quanto concerne la tessitura, di quei progetti voluti dall’ente ISOLA capitanato dalle brillanti menti di Eugenio Tavolara e Ubaldo Badas sono sopravvissuti il centro di Aggius e quello di Mogoro; si trattava di un esperimento in cui donne comuni vennero catapultate all’interno di un’impresa i cui ritmi, obiettivi e visione del lavoro dovevano puntare al mercato a partire dalla realtà casalinga.
Le prime socie della cooperativa nonché preziose insegnanti furono alcune anziane donne di Mogoro che attraverso dei corsi organizzati ogni due anni dall’ente regionale tramandarono le tecniche di lavorazione legate alla tessitura a chiunque volesse apprendere quell’arte per se stessa o con la voglia di entrare a far parte della cooperativa.
Il gruppo di lavoro attuale presso Su Trobasciu è composto da sette donne di età compresa tra i 48 e i 64 anni e l’unica superstite del gruppo originario è Cecilia; Wilda arrivò nell’81 e fu eletta presidente in quanto possedeva una spiccata mente imprenditoriale che seppe individuare le problematiche di un’impresa priva di regole e iniziative proprie. “Metà della nostra vita l’abbiamo trascorsa qui”, commenta Wilda.
Sono quindi Cecilia, Wilda, Lucina, Rosalba, Pina, Rosanna e Iosella le depositarie di un sapere che si tramandava di madre in figlia.
Fino agli anni ‘50 nelle case mogoresi si produceva il corredo. Come racconta Wilda, le donne iniziavano a tessere all’età di 14 anni e l’approccio con il telaio rappresentava l’entrata nel tessuto sociale e nell’età adulta. Si iniziava dalle lavorazioni più semplici, i sacchi per il grano, continuando con i tovagliati, le coperte e gli abiti, fino alla bisaccia – il “borsello” maschile – che le donne producevano in due versioni: quella per la vita quotidiana e quella per le feste. La bisaccia per le feste veniva pensata e realizzata dalla donna per il futuro marito prima ancora di conoscerlo; le donne fantasticavano sul telaio, immaginavano l’uomo della loro vita con indosso quella bisaccia personalizzata con ricchi e ricercati decori.
“Ci sono i sogni delle donne negli arazzi”, mi dice Wilda sorridendo.
E proprio gli arazzi erano l’ultimo manufatto ad essere prodotto, in quanto non strettamente necessario alla vita quotidiana perché destinato all’abbellimento delle povere superfici in legno della casa sarda. Arrivate a quel punto, le donne erano rilassate perché il loro compito primario si era esaurito e davano sfogo a tutta la loro creatività tessendo arazzi colorati ornati con fiori e animali; arazzi che le donne si prestavano tra loro ispirandosi a vicenda e che oggi sono il patrimonio di una cultura che si può rivivere anche grazie a Su Trobasciu che negli anni ‘90 partecipò ad un recupero casa per casa dei vecchi manufatti che vennero fotografati e riprodotti in tanti mesi di minuzioso lavoro.
“A Su Trobasciu abbiamo innovato il prodotto e non il processo”. Oltre agli arazzi, si producono i tappeti che sono la rivisitazione delle vecchie coperte, nonché oggetti di largo consumo quali cuscini, sciarpe, testate da letto e tanti altri a partire dalle tecniche di un tempo dette “a bagas” e “pibiones”.
In occasione dell’ultimo San Valentino, Su Trobasciu ha realizzato dei portachiavi che ritraggono delle coppie stilizzate: uomo e donna, uomo e uomo, donna e donna, la rappresentazione dell’amore senza pregiudizi. Ed ecco che la tradizione si sposa a pieno con la modernità non solo sul piano dell’arredamento ma anche su quello culturale.